Mentre la Prima Repubblica si mostrava moribonda, travolta dalla tangentopoli di quegli anni e, soprattutto, da un’economia incapace ormai di sostenere i vizi della vecchia classe politica nata dalla lotta al fascismo, gli interessi sul debito pubblico esplodevano fino al picco record del 12,4% del pil, sostanzialmente mangiandosi quasi un quarto della spesa pubblica complessiva. Che quella situazione non fosse più sopportabile lo compresero a malincuore gli stessi attori di quell’era finita, i quali cercarono di riparare ai loro stessi guai con l’adesione all’euro, nel convincimento che non solo una moneta unica sovranazionale avrebbe riparato l’Italia dalle intemperie finanziarie, ma anche che il vincolo esterno avrebbe rimesso in riga i governi di Roma, costringendoli alla prudenza fiscale.

La marcia di avvicinamento all’euro vide il peso degli interessi crollare. Si pensi che se ancora nel 1996 pagavamo oltre l’11% del pil per onorare il debito pubblico, che era salito fino a un massimo del 124% del pil negli anni precedenti, già nel 1999, anno di nascita ufficiale dell’euro, tale importo scendeva al 6,4%, segnalando come il costo medio dello stock fosse sceso in appena un triennio dal 9,2% al 5,6%, nonostante i governi avessero avviato l’opera di consolidamento, ossia l’allungamento delle scadenze medie. Tuttavia, i benefici per i conti pubblici non sono seguiti di pari passo, tanto è vero che il rapporto debito/pil prima della crisi del 2008 si era stabilizzato al 100%, cioè a circa una volta e mezza quello medio nell’Eurozona. Parliamoci francamente: si poteva e si doveva fare di più.

Dal grafico di sotto, notiamo come la spesa pubblica, al netto degli interessi, sia passata da un’incidenza sul pil intorno al 41% di fine anni Novanta a una in area 42-43% prima del 2007. Va da sé che sia esplosa fino al 45-46% negli anni recenti, per effetto del calo del pil (il denominatore) da un lato e delle voci di bilancio dedicate all’assistenza dall’altro.

In valore assoluto, siamo passati da una spesa di 480 miliardi di euro all’anno, sempre al netto degli interessi, a una di 775 miliardi nel 2017, il 61,5% in più, pari a un aumento medio annuo del 2,55%; nulla di eclatante, ma certo non proprio in linea con l’obiettivo di approfittare del “dividendo” dell’euro, tramite i bassi tassi, per abbassare il deficit e ridurre il peso dell’indebitamento. A conti fatti, l’aumento della spesa pubblica in quasi un ventennio ha rappresentato oltre la metà (53,3%) della crescita del pil del periodo, in sé quasi nulla in termini reali. Il dato non è in contraddizione con il senso di un nostro articolo di qualche giorno fa, per cui gli interessi hanno azzerato i sacrifici degli italiani, in quanto la corsa della spesa pubblica è stata accompagnata da quella delle entrate, tenendo alto l’avanzo primario, ma senza che ciò abbia avuto un esito netto positivo per i conti pubblici, visto che lo stato italiano più incassa e più spende.

Gli interessi sul debito hanno azzerato i sacrifici degli italiani

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