L’Argentina ha alzato i tassi al 60%, il livello più alto al mondo, per contrastare l’alta inflazione e il crollo del peso. Non è servito, tuttavia, ad arrestare l’indebolimento del cambio, che ieri ha perso un altro 3%. Il presidente Mauricio Macri ha anche introdotto nuove imposte sulle esportazioni di grano e ha annunciato il dimezzamento dei ministeri. Tutto, pur di recuperare la fiducia perduta negli ultimi mesi, che ha più che dimezzato il valore del peso argentino contro il dollaro da inizio anno.

Per l’anno prossimo l’obiettivo per i conti pubblici è diventato il pareggio di bilancio, quando fino a qualche giorno fa era un deficit all’1,3% del pil. L’economia argentina sarebbe già entrata in recessione, come segnalerebbe la caduta dell’attività captata dall’indice Infobae e relativo al mese di giugno (-6,7%), in accelerazione dal -5,8% di maggio, quando la crisi del cambio degenerò. Sono tre mesi consecutivi che la contrazione va avanti e quasi certamente così è stato anche a luglio e agosto.

La crisi valutaria argentina ci ricorda l’importanza della reputazione

Eppure, non ci troviamo in uno stato sottoposto a vincoli esterni o privato di una moneta propria. Tutt’altro. La sovranità monetaria, che per molti in Italia rappresenterebbe la panacea di tutti i mali, in Argentina, così come in numerose altre economie, tra cui la Turchia odierna, non sembra fungere affatto da freno per la crisi, semmai da aggravante. Come mai? Perché manca la fiducia nella moneta che si stampa. I primi a non averla sono proprio gli argentini nei pesos che tengono in tasca, se è vero che il 70% del debito emesso dal governo è in valuta straniera. Per quale ragione? Perché un argentino – non parliamo di un investitore straniero – si comprerebbe un bond locale solo a prezzi stracciati, non riponendo alcuna fiducia sulla capacità del governo di Buenos Aires sia di ripagare i suoi debiti, sia di tutelare il potere di acquisto della moneta.

In effetti, la storia darebbe ragione agli sfiduciati: l’Argentina ha alzato il rapporto tra spesa pubblica e pil fino al 17% dal default di inizio Millennio, passando dal 25,6% del 2001 al 42,2% del biennio 2015-2016. Questo significa che non solo lo stato ha alzato bandiera bianca sul debito per ben 8 volte dall’indipendenza dalla Spagna (in media, una volta ogni quarto di secolo), ma non si mostra mai in grado di imparare la lezione. Nonostante il valore nominale dei vecchi bond emessi fino al 2011 sia stato tagliato del 70%, il debito pubblico rispetto al pil è salito nel 2017 a più del 57%. E l’inflazione resta sopra il 30%, in parte per effetto del taglio dei sussidi elargiti alla popolazione in forma di prezzi bassi su svariati beni e servizi. In era Kirchner, era arrivata anche al 40%, sebbene i dati ufficiali fossero rinomatamente falsati.

Il concetto vuoto di sovranità monetaria

Chi avrebbe fiducia nella propria moneta, se perde ogni anno tra un quarto e un terzo del suo potere di acquisto? E chi mai comprerebbe debito pubblico denominato in una siffatta moneta, a maggior ragione con una storia alle spalle di default frequenti e di politiche fiscali irresponsabili e insostenibili? Dalla realtà non si può scappare per sempre, come si stanno accorgendo gli argentini per l’ennesima volta in pochi decenni. Un peso valeva un dollaro prima del famoso e rovinoso fallimento di inizio Millennio, anche se per mezzo di una parità fissata a tassi di cambio artificiosamente alti. Oggi, per un dollaro servono fino a 40 pesos. In altre parole, la moneta “sovrana” emessa da Buenos Aires ha perso circa il 97% in 17 anni contro il dollaro. Uno straniero che avesse investito nei “tango bond” allora, al netto del default, avrebbe dovuto strappare un rendimento extra del 4% all’anno rispetto ai Treasuries di pari scadenza solo per compensare l’effetto cambio.

Un investitore argentino, invece, avrebbe dovuto pretendere un rendimento annuo superiore almeno al 15% solo per conservare il potere di acquisto.

Sovranità monetaria senza valore in assenza di fiducia

Sulla base dell’esperienza recente, quindi, chi mai presterebbe denaro all’Argentina e chi mai avrebbe fiducia nella sua moneta? Per rimediare agli errori del passato e persino del presente, Macri sarà costretto a somministrare una grossa dose di austerità fiscale, che probabilmente colpirà l’economia e creerà le condizioni per una sua mancata rielezione alle presidenziali dell’autunno dell’anno prossimo. Tutto finirà forse per essere messo in discussione, si tornerà indietro su politica fiscale e monetaria, i problemi continueranno a montare. E così via. A cosa è servito possedere una moneta propria, sovrana? A niente, se non a stamparne in quantità industriali per finanziare i “buchi” di bilancio del governo di turno, con la conseguenza che gli stessi argentini per primi diffidano dei pesos e farebbero carte false per potere fare acquisti e detenere in banca dollari. Senza responsabilità, la sovranità monetaria è solo una grottesca presa in giro, il viatico più breve per l’autodistruzione.

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