Ripresa lenta e diseguale nell’Eurozona. Lo certifica l’OCSE, che spegne le speranze, già a dire il vero residue, di una cosiddetta ripresa a V per l’economia italiana e nel resto dell’unione monetaria. Secondo l’organizzazione di Parigi, quest’anno il PIL dell’Italia crollerà del 9,1% per crescere del 4,3% nel 2021 e del 3,2% nel 2022. Quanto all’insieme dell’Eurozona, prevede un crollo del 7,5% seguito da un recupero del 3,6% per l’anno prossimo e del 3,3% tra due anni.

Il lockdown a semaforo ci annuncia una ripresa economica debole nel 2021

Tenendo per buone le stime OCSE, abbiamo cercato di capire come si evolverebbe il PIL italiano rispetto a quello dell’Eurozona, ma portandoci indietro con le lancette al 31 dicembre 2007.

Quello fu l’anno che precedette l’ingresso del mondo nella crisi finanziaria. Da allora al 2019, l’economia italiana risulta essersi contratta del 4%, mentre quella dell’Eurozona è cresciuta del 10%.

Sulla base delle stime OCSE, a fine 2022 avremmo un’economia italiana al 97% dei livelli pre-Covid, cioè anche al 95% di quelli del 2007. Nel frattempo, l’economia dell’Eurozona passerebbe dal 110% dei livelli del 2007 a poco meno del 109% nel 2022. In altre parole, le distanze tra Eurozona e Italia si amplieranno ulteriormente fino a sfiorare il 13% rispetto al 2007.

Per capire l’impatto di queste cifre nelle vite reali, abbiamo messo in relazione i dati sul PIL pro-capite dell’Italia con quelli di Germania, Francia e Spagna, le altre tre principali economie dell’area. Ecco cosa abbiamo trovato: nel 2007, il reddito medio di un italiano si attestava all’89% di un tedesco, al 91% di un francese e al 116% di uno spagnolo. Lo scorso anno, scendeva rispettivamente al 72%, 82% e 112%.

  • PIL pro-capite Italia/Germania: da 89%     a 71,6%
  • PIL pro-capite Italia/Francia:    da 90,6%   a 82,3%
  • PIL pro-capite Italia/Spagna:    da 115,5% a 112%

 

Stagnazione senza eguali nel mondo

Il rischio per l’Italia consisterebbe nel non riuscire a recuperare le perdite accusate durante l’emergenza Covid di quest’anno nemmeno entro il 2023.

Affinché ciò fosse possibile, in effetti, servirebbe che il tasso di crescita reale fra tre anni fosse almeno del 3%. Ma come ci segnalano le stesse previsioni OCSE, che pure appaiono ottimistiche per l’Italia, il ritmo con cui il recupero avviene dopo una crisi tende ad affievolirsi con il passare degli anni. Nel 2023, è probabile che la nostra economia non risenta più di alcun rimbalzo post-Covid e che torni a crescere sostanzialmente ai ritmi pre-pandemici. Non dimentichiamoci che dopo la crisi del 2008 e con la successiva ricaduta per il lungo triennio tra il 2011 e il 2014, il PIL italiano crebbe mediamente sotto l’1% all’anno.

La prospettiva di dover attendere la fine del decennio per tornare ai livelli di ricchezza del 2007 non solo non è peregrina, ma appare persino la più probabile. L’Italia avrebbe perso così oltre 20 anni, senza tenere conto dei ritmi di crescita già lenti prima ancora del 2007 sin dagli inizi degli anni Novanta. Nessuna grande economia avanzata ha sinora mostrato una tale tendenza alla stagnazione così duratura, neppure il Giappone, che dal 2007 risulta cresciuto, comunque, di oltre 6 punti percentuali. Ovvie le implicazioni sul debito pubblico, che secondo l’OCSE rimarrà nei pressi del 160% del PIL. Una traiettoria sostenibile fino a quando tutta l’Eurozona siederà sulla stessa barca e necessiterà di politiche monetarie e fiscali accomodanti. Quando le perdite altrove saranno state recuperate – e quasi certamente ciò avverrà prima che in Italia – il graduale ritiro degli stimoli monetari e del sostegno fiscale faranno emergere le criticità di un’economia che da molti anni prima della pandemia è devastata dall’assenza di investimenti pubblici e privati, nonché da consumi al palo.

La seconda ondata Covid allontana la ripresa a V e rende probabile lo scenario W

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