Sono state due settimane da record per le aste autunnali di Christie’s, Sotheby e Phillips, le quali in totale hanno messo a segno in una settimana vendite per un controvalore di 2,65 miliardi di dollari. Superato il precedente massimo di 2,59 miliardi del 2014. Ben 32 opere d’arte sono state vendute a più di 20 milioni di dollari ciascuna e 54 a più di 10 milioni. In totale, Christie’s ha realizzato vendite per 1,14 miliardi, Sotheby per 1,34 miliardi e Phillips per 170 milioni.

Il gruppo crypto ConstitutionDAO ha perso la sfida per accaparrarsi una copia originale della Costituzione americana, aggiudicata dal magnate Ken Griffin per 43,2 milioni.

E le novità non sono mancate. Hanno fatto anche stavolta la loro comparsa gli NFT, i token non fungibili. L’opera in 3D di Mike Winkelmann ritrae un astronauta che passeggia su un terreno sempre mutevole ed è stata venduta per 29 milioni. All’inizio di quest’anno, lo stesso artista era riuscito a vendere all’asta l’opera in NFT dal titolo “Everydays: The First 5.000 Days” per la cifra monstre di 69 milioni, record per questo genere di asset.

Gli NFT assegnano diritti di proprietà esclusivi su beni digitali, come il primo tweet inviato o, per l’appunto, un’opera d’arte su internet. Per quale ragione un investitore dovrebbe spendere (tanto) denaro per acquistare qualcosa che tutti già possono vedere in rete? Per il semplice motivo che egli ne sarà formalmente il vero e unico titolare, sebbene non possa escludere gli altri utenti dal godimento. In sostanza, deve sperare che il suo diritto continui ad essere ap-prezzato anche in futuro, che il mercato gli assegni valore.

Opere d’arte come beni rifugio

Tornando alle opere d’arte, le vendite record sono certamente un buon segnale per le case d’aste, forse non per l’economia mondiale. La corsa a comprare dipinti, sculture e ultimamente anche NFT si scatena di solito quando il mercato fiuta la necessità di ripararsi nei cosiddetti “safe asset” o beni rifugio.

Le opere d’arte sono l’equivalente dell’oro sul piano degli investimenti, ossia beni che tendono a conservare il proprio valore negli anni, anzi ad accrescerlo in misura generalmente superiore all’inflazione. E sarebbe stata proprio la paura per la crescita impetuosa dei prezzi al consumo di questi anni ad avere spinto diversi investitori a puntare cifre elevate per aggiudicarsi questa o quell’opera.

Rispetto a un titolo finanziario, le opere d’arte non possono essere inflazionate e nulla possono governi e banche centrali per manovrarne i prezzi. Proprio il boom degli NFT di questi mesi sarebbe un’ulteriore spia in tal senso. Il fatto che vi siano persone disposte a spendere finanche decine di milioni di dollari per portare a casa qualcosa che non assegna loro alcun possesso esclusivo su un bene fisico dimostrerebbe che il mercato sia a caccia di vecchi e nuovi “safe asset”. L’inflazione torna a fare paura dopo decenni in cui pensavamo non sarebbe stata più un serio rischio.

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