L’emendamento alla legge di Bilancio presentato da alcuni parlamentari di Sel e PD per introdurre un’imposta patrimoniale non verrà discusso, essendo risultato privo di coperture finanziarie, ma ha già sortito l’effetto di indisporre imprese e famiglie circa un’ipotesi di stangata che sarebbe l’ultima cosa a servirci per riprenderci dalla crisi. L’Italia non è l’unico paese al mondo in cui la proposta viene dibattuta. La Spagna del premier socialista Pedro Sanchez prevede con la prossima finanziaria di stangare i patrimoni sopra i 10 milioni di euro, mentre l’Argentina del peronista Alberto Fernandez ha appena imposto un’aliquota che parte dal 2% e arriva al 3,50% sui patrimoni di almeno 200 milioni di pesos (2 milioni di euro) e fino al 5,25% sui patrimoni all’estero.

L’Argentina è uno stato che passa da un default all’altro e guarda caso risulta popolata da spagnoli e italiani, i cui governi sono bel lungi dall’essere considerati esempi virtuosi di gestione delle finanze statali. Basterebbe forse questo dato per capire che misure come quelle adottate da Buenos Aires andrebbero respinte, specie in una fase come questa, in cui stiamo lottando per contenere le perdite accusate con l’emergenza Covid e per ripartire al più presto. La sola ipotesi di patrimoniale ha seminato paure e malumori tra imprese e famiglie italiane, già risultanti tra le più stangate d’Europa e di tutta l’area OCSE. Non certo un bel modo per attirare i capitali in era post-Covid. Anzi, rischiamo di far defluire quelli domestici per paura della stangata.

L’Argentina in eterna crisi vara una patrimoniale per graziarsi il Fondo Monetario

Peraltro, negli stati in cui la patrimoniale esiste, essa incide per una frazione risibile delle entrate statali. In Norvegia, ad esempio, si arriva a stento all’1%. Nella stessa Argentina, dove già c’è, si attesta allo 0,5%.

Il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, ha espresso parere favorevole all’ipotesi di una imposta sulle grosse successioni, dimenticando che in Italia equivarrebbe a sottoporre a ulteriore tassazione le imprese, dato che per la gran parte sono di piccole e medie dimensioni e vengono lasciate in eredità dai padri ai figli.

Non serve la patrimoniale, ma uno stato efficiente

In generale, l’Italia è già piena di patrimoniali, che colpiscono la ricchezza liquida e finanziaria (imposta di bollo sui conti bancari), i beni mobili registrati (bollo auto e su natanti) e i beni immobili (IMU). Un’ulteriore imposta sulla generalità dei patrimoni non solo non avrebbe senso, ma sarebbe ingiusta, dato che per definizione le ricchezze si accumulano grazie ai risparmi, i quali a loro volta sono la differenza tra i redditi e i consumi delle famiglie. I primi sono già sottoposti alle aliquote IRPEF, i secondi scontano l’IVA. Dunque, i patrimoni sono già stati tassati alla fonte, anzi in Italia sono tassati anche a valle con le suddette imposte. Quante volte dovremmo stangare uno stesso reddito? E ammesso che patrimoniale sia, la sua aliquota non potrebbe che essere minima per non devastare i prezzi degli assets colpiti, generando basse entrate e, quindi, di fatto essendo inutile per mettere in sesto i conti pubblici.

L’Italia ha speso lo scorso anno oltre 800 miliardi di euro, al netto degli interessi sul debito pubblico, quasi il 45% del PIL. Non è il basso gettito fiscale il problema del nostro governo, quanto l’inefficienza della spesa, ossia gli sperperi e le troppe voci dal sapore clientelare-assistenziale che finiscono per frenare l’economia e per colpire la sostenibilità dei nostri conti. Una patrimoniale che arrivasse anche a fruttarci 10-15 miliardi di euro all’anno diventerebbe impercettibile all’atto stesso della sua introduzione, venendo divorata da ulteriori voci di spesa alimentate allo scopo.

Del resto, da decenni i governi ci raccontano che all’origine dei nostri mali vi sia l’alta evasione fiscale, facendoci credere che se lo stato disponesse di 50 o 100 miliardi di euro in più taglierebbero le tasse e potenzierebbero i servizi. E sappiamo tutti che così non sarebbe.

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