Qualcuno la definisce una saga, nei fatti è una “guerra” per fortuna non combattuta con le armi, bensì nei tribunali. E’ quella che va avanti da oltre due anni tra Venezuela e Banca d’Inghilterra e, per estensione, l’intero governo di Sua Maestà. Oggetto dello scontro è il bene materiale più prezioso da millenni: l’oro. Diversi decenni fa, il Banco Central de Venezuela (BCV) affidò ai forzieri di Londra gran parte del suo oro per ragioni di sicurezza. Una pratica molto diffusa, tant’è che persino l’Italia ha messo al riparo i suoi lingotti, affidandoli agli USA e al Regno Unito.

Attualmente, la Banca d’Inghilterra detiene 31 tonnellate di oro del Venezuela. Il loro valore ai prezzi correnti si aggira a poco meno di 1,8 miliardi di dollari.

Oro Venezuela, il mancato rimpatrio

Se considerate che il PIL venezuelano sia crollato a poco più di 40 miliardi nel 2021, capite bene che Caracas abbia a Londra gran parte della sua attuale ricchezza. Per questo, già nel 2018 BCV chiese alla Banca d’Inghilterra il rimpatrio dei lingotti. A seguito della risposta negativa, nel maggio del 2020 decise di fare ricorso al giudice. La scorsa settimana, l’Alta Corte di Londra ha emesso la sua sentenza: la Banca d’Inghilterra non ha alcun obbligo di rispondere affermativamente alle richieste di Caracas.

Messe così le cose, sembrerebbe un sopruso bello e buono dei britannici ai danni dei venezuelani. Ma la situazione è complessa. Nel gennaio 2019, gli USA, il Regno Unito e una cinquantina di altre nazioni decisero di riconoscere come presidente legittimo del Venezuela Juan Guaidò, allora leader dell’Assemblea Nazionale. Nicolas Maduro aveva ottenuto da qualche mese il secondo mandato sulla base di elezioni giudicate truccate e senza una corretta informazione. Da quel momento, il Venezuela di Maduro formalmente non esiste per le istituzioni britanniche, così come per Washington e tutti i governi che riconobbero Guaidò capo dello stato.

Regime di Maduro ancora in sella

Quest’ultimo nominò tra l’altro un board per il BCV diverso da quello nominato dal governo Maduro. La richiesta di rimpatrio dell’oro del Venezuela a Londra è stata, però, effettuata dal secondo, cioè da un organismo nominato da un governo “illegittimo” agli occhi del Regno Unito. Dal canto suo, BCV lamenta che prima ancora che Londra disconoscesse il regime di Maduro la Banca d’Inghilterra si era rifiutata di restituirgli l’oro. Peraltro, Guaidò non è più dalla fine del 2020 presidente dell’Assemblea Nazionale. Le nuove elezioni, pur boicottate dalle opposizioni, hanno decretato la nomina di un successore. Di fatto, Guaidò non controlla nulla.

Qual è il punto? Londra teme che il Venezuela utilizzi l’oro delle riserve ufficiali per finanziare il regime, magari attraverso elargizioni a favore dei cittadini pro-Maduro. La vendita di oro è stata negli ultimi anni una strategia sotterraneamente tenuta da Caracas per accedere ai dollari. Gli USA impediscono sin dall’agosto del 2018 al paese andino di intrattenere relazioni commerciali e finanziare con entità americane e con chiunque in dollari.

Economia venezuelana in ripresa dopo otto anni

La sentenza dell’Alta Corte londinese peserà sulla decisione di Deutsche Bank, che non sa ancora se corrispondere al governo di Maduro i 123 milioni di dollari spettanti al Venezuela con la chiusura di un contratto “swap” relativo all’oro. E Caracas prospetta il ricorso agli organismi sovranazionali, giudicando la decisione di Londra una “violazione del diritto internazionale”.

L’economia venezuelana starebbe risollevandosi per la prima volta dopo otto lunghissimi anni di recessione, durante i quali il paese avrebbe perso il 90% del PIL. Malgrado detenga le più alte riserve petrolifere al mondo, non sta riuscendo a sfruttare il boom dei prezzi, a causa dell’impossibilità di estrarre greggio dai pozzi dopo anni di sotto-investimenti e per via dell’embargo che tiene alla larga le compagnie straniere dall’investire nel paese.

L’oro del Venezuela è ossigeno puro per Maduro, che ha provocato sin dal suo insediamento nel 2013 una delle peggiori crisi economiche e dei diritti umani di sempre nella storia mondiale moderna. Tra il 2017 e il 2019, il paese sprofondò nell’iperinflazione. Attualmente, la crescita dei prezzi al consumo su base annua risulta essere scesa sotto il 100% per la prima volta dopo molti anni. Ma restano le condizioni di vita spaventose di un’economia retta da una brutale dittatura comunista con cui quasi nessun governo al mondo vuole associare la propria immagine. Ad eccezione di Cuba, Russia e Cina, guarda caso.

[email protected]