Le polemiche sul deficit-obiettivo elevato al 2,8% del pil dalla Francia – quando in Italia nemmeno un suo contenimento poco sotto il 2% soddisferebbe i mercati finanziari, tenendo conto che attualmente lo spread BTp-Bund viaggia in area 230 punti base, mentre quello della Francia si attesta sui 35 bp – stanno avendo il merito di accendere i fari sulla comparazione tra economia italiana e quella francese e sull’incomprensibile trattamento di favore di cui i titoli di stato emessi dal Tesoro parigino godrebbero da parte degli investitori.

Può un debito pubblico di poco inferiore al 100% essere ancora considerato quasi alla pari di quello tedesco sul piano della sostenibilità, quando quest’ultimo quest’anno tende al 60% del pil? E’ immaginabile che i BTp siano così bistrattati per quel 35% di debito/pil in più dell’Italia rispetto alla Francia?

Tra Francia e Italia lo spread è di credibilità

A dire il vero, prima di rispondere a queste domande dovremmo avere l’onestà di tornare indietro con la memoria ai primi anni dalla nascita dell’euro, quando lo spread BTp-Bund a 10 anni strinse fino a un minimo storico di una ventina di punti base. Era l’agosto del 2005, ma allora il nostro debito viaggiava sopra il 100% del pil, quello tedesco stava sotto il 70% e in Francia non arrivava al 55%. E quell’anno, l’Italia alzava il deficit sopra il 4%, conformandosi alle politiche fiscali più lassiste delle prime due economie dell’area. Dunque, c’è stato un tempo in cui noi eravamo la Francia della situazione, nel senso che siamo stati giudicati dai mercati con un favore che certamente non meritavamo in quelle proporzioni, dati i fondamentali, in scia all’euroforia.

Questo non significa che dibattere sulla questione francese oggi non abbia un senso. La caduta dal paradiso all’inferno dell’Italia è stata determinata non solo, e forse nemmeno tanto, dal deterioramento dei nostri conti pubblici.

Vero, il rapporto debito/pil è salito dal 103% al 133% in 10 anni, ma nel resto dell’Eurozona si è portato dal 60% al 90%. Vero anche che l’Italia non cresce, a differenza delle altre economie europee, ma il nostro deficit è stato e continua ad essere contenuto, rispettoso dei parametri del Patto di stabilità e, soprattutto, Roma vanta una storia trentennale di gestione dell’alto debito, quando gli altri governi hanno segnalato di andare in crisi con stock molto più bassi. Ad essere cambiato è stato il “mood” dei mercati, quando hanno scoperto che l’euro non implichi la condivisione anche dei rischi tra i 19 stati dell’area, in quanto vige la regola del “ognuno per sé e Dio per tutti”.

Gli squilibri della Francia per eccesso di spesa pubblica

La Francia avrà (ancora) un debito inferiore al nostro, ma presenta alcuni fondamentali davvero preoccupanti. Se l’Italia è un’economia esportatrice e il suo fatturato all’estero supera gli acquisti dal resto del mondo della media di quasi il 3% all’anno, non così può dirsi di Parigi, che non vede un saldo attivo per la sua bilancia commerciale sin dal 2005. Nell’ultimo decennio, mediamente ha registrato un disavanzo del 3,4% del pil, cumulando passività totali per 715 miliardi di euro. A fronte di ciò, nemmeno gli afflussi di capitali sono stati sufficienti a generare l’equilibrio delle partite correnti, visto che queste ultime hanno chiuso con un saldo negativo medio dello 0,9% del pil nell’ultimo decennio. E anche in questo caso, non si vede il segno più da un quindicennio. In altre parole, la Francia esporta poco, riesce ad attirare capitali, ma non a tale punto da coprire l’ammanco commerciale.

Macron ripudia l’austerità e imita i populisti

Se non ci fosse l’euro, una situazione del genere provocherebbe un deprezzamento del franco, visto che le importazioni nette di beni e servizi superano le esportazioni nette di capitali, per cui la Francia registra una domanda netta di valuta straniera.

E’ importante, quindi, che Parigi continui ad attirare la fiducia degli investitori per i suoi Oat. Senza di essa, presenterebbe una condizione molto più squilibrata e fragile sul piano finanziario, quando già oggi la sua bilancia dei pagamenti pende verso il segno meno. Sarà anche per questo che le sue istituzioni appaiono impegnate notte e giorno a difendere la sopravvivenza dell’euro. I francesi hanno bisogno della moneta unica più di altri stati, in quanto senza di essa dovrebbero fare i conti con gli squilibri strutturali della loro economia. Questi numeri non sono casuali, in quanto segnalano una verità scomoda da raccontare ai francesi, ossia che consumano troppo, contrariamente ai tedeschi che risparmiano troppo. Perché? Semplice: hanno una spesa pubblica troppo alta e in deficit, che genera un eccesso di domanda interna, parte della quale va in favore di prodotti e servizi stranieri.

Tuttavia, ci sarebbe anche un possibile problema di competitività che emergerebbe dai dati sulle esportazioni. Quelle francesi si aggirano intorno a un quinto del pil, ben meno dell’oltre il 26% italiano e del 39% tedesco. Le imprese transalpine non riescono a tenere testa alla concorrenza? Può darsi, ma può anche essere che siano più concentrate di altre a soddisfare l’abbondante domanda domestica, in virtù degli squilibri di cui sopra. Dunque, la Francia non importa troppo, bensì in linea con i livelli italiani e meno della Germania. Semplicemente, esporta poco, perché le sue imprese riescono ancora a vendere e fare fatturato in patria. E se questo rende apparentemente meno drammatici i saldi commerciali, dall’altro evidenzia i rischi di una politica fiscale improntata all’austerità, che porrebbe fine alla pacchia e costringerebbe gli imprenditori a rivolgersi ai mercati internazionali per mantenere i ricavi. E una cosa è vendere un prodotto Made in France agli stessi francesi, un’altra soddisfare le preferenze dei consumatori stranieri.

Questo Macron lo avrebbe capito e dopo un anno trascorso a recitare la parte dello pseudo-liberista in vacanza a Parigi, adesso sta tornando a percorrere le orme dei suoi predecessori: più deficit per crescere e le regole fiscali valgano per tutti gli altri!

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