La crisi economica potrebbe durare decenni. L’affermazione poco incoraggiante arriva da Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia e già noto alle cronache di questi mesi per le sue posizioni critiche verso le politiche economiche nell’Eurozona di questi anni. Lo fa ancora una volta dalle colonne del New York Times, dove profetizza la possibilità che questa crisi possa essere strutturale e durare diversi decenni sotto forma di lieve depressione, ossia di domanda insufficiente, rispetto all’offerta.

Krugman cita Larry Summers, ex segretario al Tesoro (1999-2001) della presidenza Clinton e che nei mesi scorsi era dato in pole position per la guida della Federal Reserve, salvo essersi ritirato per pressioni interne al Partito Democratico USA.

In un recente convegno del Fondo Monetario Internazionale, spiega l’economista, è stato lo stesso Summers ad avere ipotizzato lo scenario di una depressione di lungo periodo, dimostrando come gli effetti recessivi dovuti allo scoppio della bolla immobiliare del 2008 siano cessati quattro anni fa. In sostanza, la fase stagnante dell’economia per alcuni o ancora recessiva per altri non sarebbe più legata al crac finanziario del 2008.

Ma allora cosa sta accadendo? Krugman, in linea con le sue posizioni keynesiane, la vede così: le bolle sono state il solo modo per tenere sufficientemente alta la domanda in un’economia caratterizzata da fattori strutturali depressivi. Uno di questi riguarda la bassa crescita della popolazione, che non favorirebbe investimenti e nuove costruzioni, tanto che nemmeno il boom immobiliare degli anni pre-crisi, continua l’economista, è stato paragonabile a quello degli anni Settanta.

Per non parlare dei cronici deficit commerciali dagli anni Ottanta in poi (qui, il riferimento è all’economia USA), mentre ci si concentra sull’impennata del debito pubblico, quando per Krugman esso sarebbe realmente esplosivo se i tassi salissero. Per questo, il credito dovrebbe essere “easy”, facile, accessibile per un lungo periodo, al fine di stimolare la domanda.

Dunque, per uno dei principali oppositori accademici all’austerità europea, la crisi si sarebbe tradotta in una sorta di depressione di lunga durata, accettando l’idea che le bolle avrebbero avuto negli ultimi decenni una funzione propulsiva per la domanda in uno scenario altrimenti stagnante.

 

Crisi Euro: perché il credito facile non è un buon viatico per la ripresa.

Le vedute di Krugman pongono un problema serio, anche se presentano falle teoriche evidenti. Il punto da tenere in seria considerazione è che molta della crisi post-2008 ha a che fare con un rallentamento della crescita delle nostre economie occidentali, iniziato da diversi anni, ma che la bolla immobiliare-finanziaria degli anni Duemila aveva grosso modo mascherato. Come non citare il caso italiano, alle prese con un problema di scarsa competitività che va avanti ormai da circa un quindicennio. L’ingresso nel mercato globale di realtà come la Cina ha spiazzato parte dell’Europa e della stessa America.

Tuttavia, quello che non convince della ricostruzione della crisi secondo Krugman è la ragione per cui, in presenza di fattori depressivi della domanda, non sarebbe possibile un riequilibrio di piena occupazione, tramite la flessibilità dei prezzi e dei salari. Non è che proprio le politiche molto accomodanti della Federal Reserve e, più di recente, anche della BCE abbiano allontanato USA ed Eurozona dal tornare all’equilibrio, ricreando bolle già scoppiate e alimentando una costante distorsione dei mercati a discapito della produzione e del lavoro?