Per San Valentino, l’Italia aveva somministrato 3 milioni di dosi, pari al 4,94% della popolazione. Meno della metà la percentuale dei vaccinati, cioè di coloro che hanno ricevuto entrambe le dosi per essere resi immuni contro il Covid: 2,12%, pari a 1,28 milioni di persone. Fino a pochi giorni fa, malgrado la lentezza delle vaccinazioni, eravamo soliti confortarci guardando ai numeri degli altri stati europei, quasi tutti dietro a noi. Ma la situazione è radicalmente cambiata nelle ultime settimane. Adesso, l’Italia è precipitata negli ultimi posti d’Europa per somministrazioni.

Le vaccinazioni riprendono con AstraZeneca, per ora Italia prima sui richiami e la UE ammette il flop

La Germania ci ha superati di un soffio con il 4,95%, ma davanti ora troviamo nell’Unione Europea anche Danimarca (6,87%), Romania (5,79%), Slovenia (5,7%), Lituania (5,6%), Polonia (5,57%), Slovacchia (5,46%), Irlanda (5,29%), Spagna (5,18%), Estonia (5,16%), Portogallo (5,13%), Grecia (5,05%) e Finlandia (4,99%). E siamo tallonati da Ungheria (4,8%), Belgio (4,76%) e Svezia (4,53%). Fuori dalla UE e rimanendo in Europa, si trovano davanti a noi anche Regno Unito (22,98%), Serbia (13,97%), Islanda (5,75%), Svizzera (5,56%) e Norvegia (5,31%).

L’impatto della crisi di governo

Insomma, la felice fase in cui l’Italia primeggiava in Europa per numero assoluto di dosi e per percentuali di somministrazioni rispetto alla popolazione è finita. Nell’insieme, ci attestiamo poco sopra i livelli medi UE, che domenica scorsa si aggiravano sotto il 5%. A questo punto, dovremmo chiederci se per caso la crisi politica non abbia inciso negativamente sul ritmo delle vaccinazioni. La politica italiana ha completamente la testa rivolta alla caduta del governo Conte-bis prima e alla formazione del nuovo governo Draghi dopo dall’ultima settimana di gennaio. E stiamo escludendo le due settimane precedenti, trascorse a raccattare “responsabili” in Senato e ad evitare proprio lo sfaldamento della maggioranza “giallo-rossa”.

Se prendessimo come riferimento il 26 gennaio scorso, da allora e fino al 14 febbraio l’Italia ha somministrato 1,4 milioni di dosi, quasi la metà delle 3 milioni totali.

In questo frangente, ha coperto il 2,31% della popolazione, al ritmo di quasi 74 mila dosi al giorno, in accelerazione dalle circa 61.500 in media dei primi 26 giorni di campagna vaccinale. Dunque, a rigore non solo non avremmo subito alcun freno a causa della crisi di governo, ma i dati ci dicono che abbiamo persino accelerato il trend. Nello stesso tempo, la Germania è passata da una media di 78.500 dosi al giorno a una di 110.000, coprendo un altro 2,50% della popolazione, poco più dell’Italia.

Sui vaccini anti-Covid Unione Europea fregata dal resto del mondo

Draghi non potrà fare miracoli

Ma i numeri vanno letti in un più ampio raffronto internazionale e sono preoccupanti. Tanti altri paesi, ad esclusione della Francia, sono riusciti ad accelerare decisamente i ritmi, coprendo ad oggi fino al 5-6% delle rispettive popolazione. Poco, se si pensa che l’obiettivo sia di arrivare almeno all’80%. Tuttavia, il trend quasi ovunque migliora più che da noi. Non è detto che la crisi di governo abbia inciso minimamente, anche perché operativamente sono le regioni ad occuparsi delle somministrazioni. Semmai hanno avuto un risvolto negativo i ritardi nelle consegne delle dosi da parte delle case farmaceutiche, sebbene il problema abbia riguardato tutta l’Unione Europea.

Tutti si aspettano che Draghi acceleri le vaccinazioni per avvicinare la riapertura delle attività e l’aggancio alla ripresa economica. Il problema è che potrà fare ben poco. Le dosi ci vengono consegnate nelle quantità e nei tempi concordati tra UE e case farmaceutiche. I contratti sono stati siglati con cadenze trimestrali, per cui i tagli alle forniture delle settimane scorse verosimilmente saranno compensati da aumenti a ridosso della scadenza di marzo, così da ottemperare agli impegni e non subire eventuali ricorsi giudiziari. Dinnanzi a ciò, il premier ha quasi le mani legate. Peraltro, tutti gli stati comunitari si aggirano all’incirca sulle stesse percentuali, proprio perché le dosi consegnate sono in proporzione le stesse.

La svolta per l’Italia arriverebbe con il monodose di Johnson & Johnson (7,3 milioni le dosi che ci verrebbero consegnate nel secondo trimestre), ammesso che la casa americana ottenga il via libera delle autorità entro marzo. E c’è l’ipotesi Sputnik, la cui efficacia risulterebbe elevata (91,4%) e che la rivista scientifica Lancet ha anche definito “sicuro”. E già si parla di adottarlo al posto di AstraZeneca, la cui efficacia scenderebbe al 60%. Ma i contratti vanno rispettati e, soprattutto, per ragioni perlopiù geopolitiche, nessuno stato europeo e la stessa Commissione UE hanno ancora siglato un solo accordo con la Russia sulle forniture.

Perché i vaccini nell’Unione Europea stanno arrivando con notevole ritardo

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