E’ alta tensione tra le due Coree, dopo che Kim Yo-Jong, sorella del dittatore Kim Jong-Un e da tempo ormai suo massimo consigliere, ha annunciato ieri all’agenzia statale KCNA che con il potere conferitole da stato e partito assumerà le dovute decisioni di ritorsione contro Seul, in risposta a quella che Pyongyang definisce un’aggressione, oltre che la rottura dell’accordo di cooperazione. Nei giorni scorsi, dal confine tra i due stati alcuni fuggiaschi nordcoreani hanno inviato verso il nord cibo e volantini di propaganda contro il regime, un vero affronto per lo stato eremita, che ha deciso già di chiudere ogni linea di comunicazione, anche militare, con il sud.

Dal canto suo, Seul si è appellata ai dissidenti residenti sul suo territorio per convincerli a cessare le manifestazioni di sfida al regime, invitando Pyongyang a non tagliare ogni ponte, ma al contempo i suoi vertici politici e militari si sono detti pronti a reagire a ogni scenario.

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Scorte di cibo esaurite

E dire che nel 2018 fosse stato compiuto un passo storico nel senso letterale del termine, allorquando Kim Jong-Un e il suo omologo Moon Jae-In s’incontrarono al confine e posero fine a circa 70 anni di quasi totale assenza di relazioni, con la promessa del primo di denuclearizzare la Corea del Nord, ribadita successivamente ai vertici con il presidente americano Donald Trump.

Il surriscaldamento della temperatura tra le due Coree rispecchierebbe un forte deterioramento in corso delle condizioni economiche al nord. Stando a Daily NK, da marzo non vengono più distribuite razioni di cibo ai residenti di Pyongyang, un fatto che non era accaduto nemmeno nei periodi bui della carestia degli anni Novanta, quando si calcola che fino a 2 milioni di nordcoreani morirono di fame. E a marzo stesso, le razioni non erano state composte da riso, fondamentale e basilare per la cucina nazionale, bensì di avena.

La situazione sarebbe diventata così grave, che il Dipartimento 8 del Ministero per la Sicurezza del Popolo ha emanato una circolare con la quale si ordina l’espulsione dalla capitale di quanti risiedano al centro o nelle periferie (Distretto 30 e 140) e siano sprovvisti di apposito permesso o vi si siano trasferiti dopo il matrimonio. Nella versione ufficiale del regime, la carenza di cibo sarebbe stata provocata dall’eccesso di popolazione a Pyongyang, unitamente a una congiura imperialista internazionale contro la Corea del Nord. Nella capitale possono abitare solo le fasce della popolazione autorizzate sulla base di uno status generalmente superiore agli altri. Parliamo di funzionari del governo, ma anche di quella nascente borghesia composta da commercianti e piccoli imprenditori.

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Boom dei prezzi alimentari

Il guaio è che nemmeno più le scorte alimentari dei militari appaiono sufficienti a garantire l’approvvigionamento della città, dove stanno facendo la loro comparsa i cosiddetti mercati non ufficiali, in cui per il 90% dei beni scambiati sono cibo. Sono aperti tra le 4 e le 7 di mattina, prima che la gente vada a lavoro, e puntano a ridurre le carenze alimentari delle famiglie. Ciò non sta impedendo, tuttavia, che i prezzi di cibo e bevande salgano. Si registrerebbe un +10-20% rispetto alle prime settimane dell’anno, segno della carenza di beni nel paese. Un chilo di riso costerebbe, ad esempio, sui 4.900 won locali (4,82 euro), su dai 4.350 dell’1 gennaio scorso.

Si consideri che il reddito pro-capite medio di un cittadino nordcoreano sia intorno ai 1.500 dollari o circa 1.350 euro, per cui i livelli di prezzo di cui parliamo appaiono elevatissimi e denotano un potere di acquisto infimo per la stragrande maggioranza della popolazione, che vive semplicemente dello strettissimo necessario, ammesso che vi sia.

Per quanto gli “inminban”, gli uffici amministrativi, stiano censendo le famiglie rimaste senza cibo, sarebbero in tanti a recarsi in montagna in cerca di verdure con cui condire il riso.

Una situazione di allarme, che la dice lunga sui toni bellici che il regime di Kim Jong-Un sta sfoggiando in questi giorni, forse per dare sfogo a una crescente tensione sociale interna, tant’è che di recente si è già tenuto un apposito politburo con i più alti ufficiali del regime e alla presenza del leader, finalizzato proprio a discutere la gravità delle condizioni socio-economiche in cui versa la Corea del Nord. Come avevamo fatto presente nei giorni scorsi, l’emissione del bond in dollari per lo stato eremita è stato un segno di disperazione, non di incipiente normalizzazione della sua struttura finanziaria, ad oggi inesistente.

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