La People’s Bank of China (PBoC) stupiva il mondo 10 anni fa, quando rivalutò, esattamente il 21 luglio del 2005,  lo yuan del 2,1% contro il dollaro, iniziando a porre fino al rigido regime del cambio fisso, sostituendolo con uno dall’oscillazione quotidiana consentita all’interno di una banda del +/- 0,3%. Tuttavia, per i primi anni non si notarono risultati apprezzabili. Lo yuan risultava apprezzatosi contro il biglietto verde di appena il 3,5% dopo 12 mesi, di meno del 10% dopo 2 anni. Ma furono passi significativi verso la direzione giusta, rispondenti alle forti critiche che sin dal 2004 l’amministrazione Bush aveva rivolto alla Cina, sostenendo che ingaggiasse una “guerra” commerciale scorretta ai danni delle economie mature.

Dieci anni fa si stimava intorno al 30% la sottovalutazione dello yuan contro il dollaro e a distanza di 10 anni, tale gap è stato del tutto colmato, tanto che di recente l’FMI ha definito “corretta” la valutazione della divisa cinese, il cui cambio con il biglietto verde si è portato nel frattempo a 6,2099 e può oscillare dal marzo dello scorso anno del +/-2% al giorno, rispetto al cambio di riferimento.   APPROFONDISCI – Il Fondo Monetario alla Cina: lo yuan non è più sottovalutato, ma spingete i consumi  

Verso un nuovo modello di sviluppo

Resta un mistero la formula utilizzata dalla PBoC per fissare la parità, ma è un fatto che il cambio attuale rispecchi maggiormente i fondamentali dell’economia cinese, che se nel 2007 registrava ancora un surplus delle partite correnti dell’11% del pil, adesso vede ridotto quell’avanzo al 2%. In sostanza, la Cina resta un’economia “export-led”, ossia basata sulle esportazioni, ma molto meno che in passato, in parte, perché la crisi delle economie avanzate di questi anni l’ha costretta a ricercare altrove le direttrici della crescita, in parte anche perché lo stesso governo di Pechino ha inteso di recente trasformare il paese verso un modello più imperniato sui consumi interni.

Entro ottobre, l’FMI dovrà decidere se inserire lo yuan tra le valute utilizzate per le sue riserve SDR (“Special Drawing Rights”), di cui oggi fanno parte dollaro, euro, sterlina e yen. Per farlo, l’istituto ha bisogno che lo yuan sia pienamente convertibile, cosa che ancora non è possibile, così come che il suo cambio sia trasparente, quando ancora non sappiamo cosa ne determini la parità imposta dalla banca centrale.   APPROFONDISCI – La Cina ha più debiti degli USA, ma lo yuan si rafforza e l’FMI lo vuole tra le sue riserve  

Presto piena convertibilità yuan?

Per questo, Pechino potrebbe già nei prossimi mesi rendere lo yuan pienamente convertibile e affidare il suo corso al libero mercato. Due fattori inducono a ritenere che possa accadere. In primis, perché pare esclusa una forte rivalutazione del cambio, essendo sostanzialmente in linea con i fondamentali, a differenza degli anni passati; secondariamente, perché il dollaro è destinato a rafforzarsi con il rialzo dei tassi USA, per cui le autorità politiche e monetarie cinesi potrebbero confidare, oggi come oggi, sul fatto che non ci sarebbe alcun trend inopinatamente rialzista per lo yuan, tale da mettere a rischio l’economia, la cui crescita è già ai livelli  più bassi degli ultimi 25 anni. D’altra parte, lo stesso governo cinese non vorrebbe più uno yuan sottovalutato. In questo senso vanno gli ingenti acquisti di oro negli ultimi 6 anni, tesi a rafforzare la credibilità valutaria sul mercato mondiale, nonostante l’aggiornamento delle cifre sulle riserve ufficiali di metallo abbiano deluso la scorsa settimana.   APPROFONDISCI – La Cina svela le sue riserve di oro, ma il dato delude e non convince   D’altronde, su base annua, il cambio yuan-dollaro è sostanzialmente stabile, così come dall’inizio del 2015, un segnale di ulteriore fiducia per Pechino, che in queste settimane ha dovuto fronteggiare il crollo della Borsa di Shanghai, la quale in meno di 3 ottave era arrivata a perdere un terzo del suo valore, “bruciando” 3.500 miliardi di dollari, salvo risalire parzialmente nelle ultime 2 settimane, a seguito degli interventi delle autorità finanziarie, pur restando in calo di oltre 20% rispetto all’11 giugno scorso.

  APPROFONDISCI – Il crollo della Borsa di Shanghai mette a rischio la crescita in Cina e non solo