Ieri, il vice-governatore della BCE, Luis de Guindos, ha prospettato la possibilità che il primo rialzo dei tassi nell’Eurozona avvenga già nel mese di luglio, ossia contestualmente alla cessazione degli acquisti netti di asset con il “quantitative easing”. Una dichiarazione molto importante da diversi punti di vista. In primis, perché arriva da un componente spagnolo del board, in teoria tra i più prudenti rispetto alla necessità di andare presto verso una stretta monetaria. Secondariamente, perché smentisce la “forward guidance”, in base alla quale il rialzo dei tassi vi sarebbe solo dopo che sarà trascorso un periodo dalla fine del QE.

Infine, contraddice palesemente la posizione del governatore Christine Lagarde, che solamente all’ultimo board di una settimana fa era parsa attendista, quasi ignorando i dati sull’inflazione.

A cos’è dovuto il cambio di linea alla BCE? Il cambio euro-dollaro nelle ultime sedute è sceso fin sotto 1,08, ai minimi da oltre due anni. Le grandi banche centrali che hanno già alzato il costo del denaro sono numerose e vanno dalla Nuova Zelanda al Canada, passando per USA, Norvegia, Regno Unito e Corea del Sud. La posizione della BCE nel mondo sta rimanendo isolata e l’inerzia rischia di destabilizzare i prezzi al consumo. Con un euro sempre più debole, il costo dei beni importati cresce, accentuando l’inflazione.

Rialzo tassi BCE, regna la confusione a Francoforte

La reputazione di Francoforte ne esce a pezzi. Da anni strombazza ai mercati in ogni occasione che alzerà i tassi d’interesse solo dopo che saranno cessati gli acquisti dei bond. Adesso scopriamo che probabilmente ciò avverrà contestualmente alla fine degli acquisti. Dovremmo attenderci un cambio lessicale nella “forward guidance” di giugno, ma sarebbe troppo poco il tempo concesso al mercato per digerire la svolta. Dunque, questo cambio di linea appare per quello che è: improvvisato.

Lagarde ha confermato quanto tristemente segnalò a inizio pandemia, vale a dire di non essere credibile e competente.

Allora, passò nel giro di qualche ora dal negare che la BCE contrasti gli spread al rassicurare che lo farebbe nel caso servisse. In questa fase, afferma una cosa per essere smentita qualche giorno dopo dal suo vice. C’è da dire, però, che sarebbe ingiusto crocifiggere la sola sua figura. Dov’era il resto del board il 14 aprile scorso, quando ha mantenuto sostanzialmente intatto il comunicato dopo la riunione? La sensazione è che tutto l’istituto sia rimasto colpito dalla reazione avversa dei mercati, che stavolta non hanno più premiato l’attendismo, preoccupati dall’alta inflazione che divora il potere d’acquisto nell’area.

La credibilità è andata a farsi benedire. Del resto, l’incoerenza di pensiero dietro all’inazione era palese da tempo: attendere gli ultimi dati macro per capire se alzare i tassi o meno e al contempo spiegare che le azioni di politica monetaria trascendono i dati di breve periodo, guardando a un orizzonte almeno di medio periodo. Qualcuno cambi “ghost writer” all’Eurotower, se non il governatore stesso.

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