Le riprese satellitari sulla Corea del Nord avrebbero captato l’incipiente smantellamento di un edificio presso la Stazione di Lancio Satellitare a Sohae per distruggere un impianto, che sarebbe stato utilizzato per la produzione di motori atti alla costruzione di missili balistici. La notizia è stata data da un think-tank di Washington e, se fosse confermata, smentirebbe i dubbi circolati nelle scorse settimane tra gli ambienti governativi sul rispetto degli impegni assunti dal leader nordcoreano Kim Jong-Un con il presidente americano Donald Trump in occasione della storica visita del 12 giugno scorso.

E la Banca di Corea, l’istituto centrale di Seul, ha stimato nel 3,5% il calo del pil nordcoreano nel 2017, a causa delle sanzioni internazionali comminate contro l’economia dello stato eremita. Si sarebbe trattato della recessione più dura degli ultimi 20 anni, pur avendo seguito il tasso di crescita maggiore da inizio Millennio, quel +3,9% registrato nel 2016.

Kim Jong-Un e Donald Trump, stretta di mano storica. L’economia in Nord Corea ne beneficerà?

Complessivamente, l’import-export con la Cina sarebbe crollato del 56% e le esportazioni nordcoreane dell’ultimo trimestre dello scorso anno risulterebbero diminuite sotto i 300 milioni di dollari, un terzo del loro valore nello stesso periodo del 2016. Eppure, già negli ultimi mesi, di pari passo con l’apertura al resto del mondo di Pyongyang e allo “scongelamento” delle relazioni diplomatiche con gli USA, la Cina e la Corea del Sud voluto da Kim Jong-Un, si avvertirebbero i primi segnali di ripresa dell’economia. Secondo i dati Reuters, elaborati sulle notizie quotidianamente pubblicate dalla stampa nordcoreana, il carburante nella capitale sarebbe stato venduto oggi dagli intermediari privati a 1,24 dollari al kg, il 44% in meno dell’apice toccato il 27 marzo scorso e a -33% dagli 1,86 dollari del 5 giugno scorso.

Questa tendenza sarebbe in contrasto con l’embargo petrolifero a cui la Corea del Nord è sottoposta dallo scorso anno, quando le Nazioni Unite decisero di limitare a 500.000 barili all’anno le importazioni per il paese, un ammontare decisamente inferiore ai 4,5 milioni di barili di prodotti raffinati e ai 2 milioni di greggio all’anno importati dal paese, secondo le stime di Washington e Seul.

Sulle 60.000 tonnellate esportabili dalla Cina, Pechino ne avrebbe vendute a Pyongyang appena 7.432 nel primo semestre. In teoria, il tracollo dell’offerta avrebbe dovuto fare schizzare i prezzi del carburante, pur scontando il fatto che le minori esportazioni consentite di carbone verso la Cina abbiano incrementato l’offerta domestica di un sostituto utilizzato per generare energia. E allora, l’ipotesi più verosimile consiste nel ritenere che i dati cinesi siano falsati, cioè che non svelino le effettive esportazioni da Pechino, tanto che nei mesi scorsi l’amministrazione Trump aveva protestato contro le relazioni commerciali mascherate tra i due paesi, salvo attenuare i toni con la programmazione dell’atteso incontro con il leader nordcoreano.

Si allenta la pressione su Pyongyang

Gli USA non hanno avallato alcun allentamento ufficiale delle sanzioni contro il regime comunista più ferreo al mondo, ma sotto sotto avrebbero iniziato forse a tollerare il via vai di petrolio in nero tra i due paesi. Del resto, l’economia informale ammonterebbe al 60% degli scambi interni alla Corea del Nord, che non pubblica dati ufficiali su alcun aspetto della vita socio-economica nazionale. Lo stesso segretario di Stato USA, Mike Pompeo, nei giorni scorsi ha accusato Pyongyang di trafficare petrolio in misura nettamente superiore alle quote assegnate dall’ONU. L’andamento recente e calante dei prezzi del carburante gli darebbero ragione. Resta da vedere se avranno ragione alcuni degli esperti vicini allo stesso Trump, preoccupati che una minore pressione economica sul regime possa rallentare o finanche annullare gli sforzi per denuclearizzare il paese asiatico.

Kim Jong-Un si è mostrato un leader molto abile, lanciando una campagna missilistica e nucleare dai toni propagandistici preoccupanti, al fine di spingere la super-potenza americana a sedersi con lui al tavolo delle trattative. Trump ha accettato la scommessa e si attende di raccogliere vari frutti, tra cui l’allentamento del legame tra Pechino e regime nordcoreano. In appena 3 mesi, il giovane dittatore ha incontrato per tre volte il presidente cinese Xi Jinping, una volta l’omologo sudcoreano Moon Jae-in e, per l’appunto, il presidente Trump. Era quello a cui Kim Jong-Un puntava per tentare di porre fine non solo all’isolamento diplomatico, ma anche all’arretratezza economica del suo paese. Per farlo, però, aveva bisogno di incontrare gli altri capi di stato alla pari. A questo è servita la campagna nucleare: intimorire per essere rispettati.

Kim Jong-Un piange per la miseria dell’economia

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