Nel corso del fine settimana scorso, la Corea del Nord ha celebrato con una imponente parata militare il 75-esimo anniversario del Partito dei Lavoratori. Davanti a Kim Jong-Un, il “Caro Leader” a cui 25 milioni di persone devono mostrare massima devozione, hanno sfilato migliaia di persone ed è stato esibito un nuovo missile balistico intercontinentale, il primo dall’avvio dei colloqui con l’amministrazione Trump nel 2018. E’ stata l’occasione per il giovane dittatore per fare il punto sulla lotta al Covid, chiamato “virus maligno”.

Kim ha usato parole di sostegno ai malati di tutto il mondo. Il regime aveva augurato “pronta guarigione” al presidente americano nei giorni scorsi. Piccoli segnali dell’apparente volontà di “scongelare” le relazioni con il resto del mondo.

Come quando, sempre pochi giorni fa, lo stesso Kim aveva porto le sue scuse (impensabile fino a pochissimo tempo fa) alla Corea del Sud per l’uccisione di un suo cittadino, stranamente in fuga via mare verso il nord. L’uomo, denunciano i media di Seul, sarebbe stato prima ucciso con colpi di fucile e successivamente dato alle fiamme per timore della pandemia. Le autorità nordcoreane hanno ammesso solo la fucilazione, non anche la fine macabra del corpo.

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Tornando alla parata, Kim ha pianto quando ha affermato che

“il nostro popolo ha riposto fiducia alta quanto il cielo e profonda quanto il mare in me, ma non sono stato sempre in grado di dargli risposte soddisfacenti”.

Non è la prima volta che in questi mesi il dittatore denuncia, pur ai soli funzionari del regime, il mancato raggiungimento degli obiettivi. A un recente Politburo, ad esempio, ha lamentato le condizioni di vita dei cittadini, le quali progredirebbero troppo lentamente o affatto. L’emergenza Covid ha colpito un’economia già sfinita

dall’embargo internazionale, imposto dall’ONU per via della politica militare e nucleare perseguita da Pyongyang.

Nuova stretta sul contrabbando

L’esibizione di un nuovo missile, denunciano gli USA, segnala che la Corea del Nord continui a puntare sulle spese militari, anziché sul miglioramento della sua economia. In effetti, le lacrime di Kim non trovano corrispondenza nella realtà dei fatti. Al confine con la Cina, la repressione ai danni dei trafficanti o semplici detentori di beni sudcoreani è stata inasprita. E’ stato creato allo scopo un gruppo composto da militari e agenti dei servizi segreti, che pare abbia anche colpito alcune abitazioni. Fumo nero è stato visto uscire da un edificio a Sinuiju, forse a seguito della distruzione della merce made in Sud Corea sequestrata tramite incendio.

La pena massima prevista per simili reati sarebbe l’esecuzione a morte, ma il regime ad oggi si sarebbe limitato a comminare multe da 150 a 3.000 dollari. Questi episodi dimostrano che la tolleranza del regime per il mercato nero, sempre in voga nelle aree di confine, si sia di molto ridotta con il Covid, specie per paura che possa diffondere i contagi. Ufficialmente, la Corea del Nord non registra un solo caso di positivi sul suo territorio, anche se le statistiche appaiono poco credibili. Resta il fatto che il commercio con la Cina, quasi unico partner di Pyongyang, è stato azzerato, lasciando milioni di persone senza viveri a sufficienza.

Secondo uno studio condotto sbrigativamente da North Korea – Daily, le famiglie nordcoreane avrebbero tagliato di un terzo i loro consumi nei primi nove mesi dell’anno. Molte starebbero conservando alcune pietanze sotto sale per usarle nei prossimi mesi, quando ci si aspetta che la carenza alimentare peggiori. Il “kimchi”, piatto tipico a base di verdure speziate, riescono a prepararlo ormai in pochi, anche perché le importazioni di cavoli dalla Cina non ci sono più, almeno non attraverso il canale formale.

Kim aveva aperto a Washington nella speranza che gli fossero allentate le sanzioni, ma gli USA sono irremovibili: via l’embargo contestualmente alla distruzione dell’arsenale nucleare. Per il regime, però, esso costituisce una polizza di assicurazione contro possibili interventi militari esterni, cinesi inclusi.

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