Siamo ben lungi dall’essere diventati un mondo “oil free”, ma di passi in avanti negli ultimi anni ne abbiamo compiuti, forse più di quanto immaginiamo. Le quotazioni del petrolio sono risalite in area 65 dollari al barile, ma restano decisamente inferiori rispetto ai livelli a cui si erano portate a metà del 2014, quando schizzarono fino ai 115 dollari. Il record, tuttavia, spetta al 2008 con i 146 dollari toccati dal Brent, salvo chiudere quello stesso anno intorno ai 40 dollari per via della violenta crisi finanziaria ed economica esplosa nell’ultimo trimestre.

Petrolio, consumi: sorpresa Italia, efficienza esemplare

E proprio la crisi può considerarsi uno spartiacque sul piano dei consumi petroliferi. Uno dei modi per valutare se un’economia si evolve in maniera efficiente consiste nel rapportare quanti barili di greggio consumi per produrre il pil. L’Italia nel 2007 consumava la media di 1,74 milioni di barili al giorno, circa mezzo milione in più degli 1,25 del 2018. Pertanto, allora con un barile era in grado di produrre ricchezza per circa 2.534 euro, lo scorso anno per 3.835 euro.

Per fortuna, il nostro non è stato un caso isolato. La Germania, che pure ha continuato a crescere parecchio subito dopo la crisi del 2008-’09, consumava nel 2018 2,32 milioni di barili al giorno contro i 2,38 del 2007, ma il pil tedesco negli 11 anni considerati ha corso, tanto che risulta che sia servito un barile per produrre poco meno di 4.000 euro di ricchezza nel 2018, quando nel 2007 non arrivava ai 2.900 euro. Molto bene anche la Francia: lo scorso anno, con un barile produceva più di 4.012 euro di pil, nel 2007 si fermava a 2.783. Molto meno efficiente la Spagna, che è passata da 1.833 a 2.479 euro. E gli USA? Sono i grandi vincitori della partita del petrolio nell’ultimo decennio con il boom dello “shale”, eppure anche i loro progressi risultano cospicui, in linea con quelli europei: con un barile producevano 1.914,6 dollari nel 2007, salendo nel 2018 a oltre 2.744 dollari.

Ridotta la dipendenza dal petrolio

Rapportando le quantità di petrolio necessarie per produrre un’unita di ricchezza tra il 2018 e il 2007, scopriamo che l’Italia ha compiuto i maggiori progressi tra le economie considerate, registrando un ottimo +51%. A seguire si trovano la Francia con il +44%, gli USA con il +43%, la Germania con il +38% e la Spagna con il +35%. In assoluto, però, l’economia che si mostra meno dipendente dal petrolio per produrre ricchezza è la Francia, seguita nell’ordine da Germania, Italia, Spagna e USA. In quest’ultimo caso, abbiamo tenuto conto del cambio euro-dollaro alla fine del 2018, ottenendo un risultato per il rapporto pil/barile più basso di quello spagnolo.

I dati di cui sopra, per quanto riguardino solo alcune delle principali economie mondiali, segnalano una tendenza incontrovertibile alla riduzione della dipendenza dal petrolio. In valore assoluto, tutte hanno ridotto i consumi, nel frattempo continuando a crescere, ad eccezione dell’Italia con un pil reale minore di quello pre-crisi. Certo, molto di questo risultato è legato alla terziarizzazione dell’economia, che spinge per una crescita dei consumi petroliferi meno proporzionale. Indubbi, però, sono i miglioramenti sul fronte dell’efficienza energetica, con la conseguenza che i paesi esportatori hanno in mano un’arma che fa molta meno paura rispetto a soli 20 anni fa.

L’impatto che oggi avrebbe una eventuale crisi petrolifera come le due disastrose degli anni Settanta sarebbe nettamente inferiore di circa il 45% rispetto al periodo pre-crisi, sempre con riferimento alle suddette economie. Questo significa anche che la relazione tra quotazioni del petrolio e inflazione tende ad affievolirsi. Ne sanno un po’ qualcosa le banche centrali principali, che non riescono a centrare i rispettivi target da diversi anni.

Petrolio, inflazione e cambio euro-dollaro: cosa ci dicono i dati di questi anni

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