Incassata la vittoria alle elezioni amministrative, la premier Giorgia Meloni sta cercando di fare il punto sui principali dossier sul tavolo di Palazzo Chigi. Martedì scorso, insieme a mezzo governo incontrava i rappresentanti dei sindacati dei lavoratori. Obiettivo: trovare un metodo e, soprattutto, soluzioni comuni sulle pensioni, al fine di disinnescare sul nascere quella “bomba sociale” rappresentata dagli assegni di vecchiaia nei prossimo decenni. Ma è stata anche l’occasione per iniziare a fare il punto su un’altra riforma molto attesa: l’IRPEF.

Prima della legge di Bilancio per il 2024 non ne sapremo molto. Serve attendere le disponibilità di bilancio effettive, che dipenderanno dall’evoluzione della situazione macroeconomica. Il trend è positivo, visto che il PIL sta mostrandosi più dinamico delle previsioni, ma serve ugualmente prudenza fiscale.

Le ipotesi di cui si sta discutendo all’interno della maggioranza di centro-destra sono molteplici, anche se tutte dovranno fare i conti con l’oste. Il vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha prospettato la detassazione della tredicesima. Sarebbe un modo per lasciare più soldi in tasca ai lavoratori sotto Natale. Uno stimolo per i consumi in un periodo cruciale dell’anno commerciale.

Sin qui, però, nessuna reale novità. E’ da mesi, invece, che l’attenzione e i dubbi dei media si concentrano sulle aliquote IRPEF con annessi scaglioni. L’unica apparente certezza è che questi scenderanno da quattro a tre. A partire dal marzo 2022, essi sono i seguenti:

  • 23% fino a 15.000 euro;
  • 25% da 15.001 a 28.000 euro;
  • 35% da 28.000 a 50.000 euro;
  • 43% sopra 50.000 euro.

IRPEF per Meloni: primo scaglione per redditi sopra 15.000 euro

Se questi scaglioni scenderanno a quattro, significa che uno deve essere assorbito in toto o parzialmente da qualcun altro. Dalle dichiarazioni della premier Meloni di questa settimana abbiamo appreso che verosimilmente a salire sarà la dimensione del primo scaglione IRPEF. In buona sostanza, l’aliquota del 23% si applicherebbe fino ad un reddito più alto del limite attuale dei 15.000 euro.

Questa era un’ipotesi giudicata molto concreta già nelle settimane passate, in quanto costerebbe meno delle altre. Un’alternativa sarebbe fondere secondo e terzo scaglione.

Per capire i possibili risparmi, simuliamo un esempio. Un contribuente con reddito di 20.000 euro, qualora fosse soggetto solamente alla prima aliquota IRPEF, pagherebbe in futuro 100 euro in meno rispetto ad oggi. Infatti, con l’aliquota del 23% sopra i 15.000 euro, il risparmio sarebbe di 20 euro per ogni 1.000 euro. Ma non sarebbe l’unica novità annunciata, pur in forma di ipotesi, dalla premier. Il governo vorrebbe riconoscere anche ai lavoratori dipendenti le deduzioni fiscali concesse ai lavoratori autonomi per i costi di trasporto. Sarebbe da vedere se potrebbero nel caso essere scaricate tutte le spese o solo quelle legate alla fruizione di mezzi pubblici. Nel primo caso, così come avviene in Germania, la deduzione sarebbe con ogni probabilità forfetaria e legata ai chilometri percorsi tra luogo di residenza e di lavoro.

Non è finita. Meloni è molto sensibile al tema delle nascite. Non c’è occasione che non ripeta quanto siano necessarie per garantire un futuro alla nostra Nazione, anche in termini di sostenibilità economico-finanziaria. Un ulteriore stimolo avverrebbe proprio tramite la tassazione. Il datore di lavoro beneficerebbe della decontribuzione a favore dei dipendenti a cui sia nato un figlio. Questa misura sarebbe più complicata da implementare rispetto alla riforma dell’IRPEF. Già il taglio del cuneo fiscale, che il governo intende rendere “strutturale”, priverà l’INPS di contributi per pagare le pensioni. Poiché a dover coprire l’ammanco sarà lo stato, il carico si sposterebbe in misura crescente sulla fiscalità generale. E non sarebbe né efficiente, né sostenibile. Anche per questo il governo vuole affrontare il capitolo pensioni nel suo complesso.

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