Ad aprile l’inflazione italiana era tornata a salire all’8,2% dal 7,6% di marzo. Un trend più marcato rispetto a quello registrato nell’intera Area Euro, dove la crescita tendenziale dei prezzi al consumo è passata dal 6,9% al 7%. Per fortuna a maggio è riscesa al 7,6%. Pur giù dall’apice toccato nell’autunno scorso, di strada da percorrere ne abbiamo ancora tanta prima di poter parlare di ritorno alla normalità. L’obiettivo che la Banca Centrale Europea (BCE) si è dato per statuto è di centrare il 2% all’anno.

Prima della pandemia, nel nostro Paese risultava mediamente intorno all’1% o anche meno.

Giù prezzi produzione e frena fatturato industria

Martedì, l’ISTAT ha pubblicato il dato sui prezzi alla produzione ad aprile. Sono risultati in calo del 4,8% su base mensile e dell’1,5% anno su anno. Un netto miglioramento dovuto esclusivamente alla componente energetica. Infatti, i prezzi dell’energia sono scesi del 16,5% mensile e del 18,1% annuo. Al netto di questa componente, i prezzi alla produzione sono aumentati del 4,2% annuo (da +6,2% a marzo) e sono rimasti invariati su base mensile.

E c’è stato anche il dato sul fatturato dell’industria a marzo ad avere inviato un altro segnale positivo. Contrazione mensile dello 0,3% e corretto per gli effetti del calendario ha segnato un aumento del 4,3% su base annua. Cosa ci dicono nel complesso questi numeri? Le pressioni sull’inflazione italiana si stanno riducendo. In effetti, i prezzi alla produzione sono crollati del 16,5% rispetto al picco raggiunto nel dicembre scorso. E le imprese non ci starebbero marciando per aumentare i profitti. Di fatto, a marzo il fatturato è cresciuto meno dei prezzi alla produzione. In buona sostanza, l’inflazione da profitti non riguarderebbe la generalità del tessuto produttivo.

Rischi per inflazione italiana da aumenti salariali

Certo, dovete considerare che negli ultimi tre anni i prezzi alla produzione risultano aumentati in Italia del 40%, pur dopo il crollo di questi mesi.

Erano saliti di appena il 5% nel decennio precedente e del 25% in venti anni. Insomma, l’accelerazione è stata brutale, provocata perlopiù dalla crisi dell’energia. Con il prezzo del gas sceso sotto 25 euro per Mega-wattora dai circa 340 dell’agosto scorso, l’allarme è perlopiù rientrato. Tuttavia, l’aumento dei costi si è trasferito al resto delle produzioni, tenendo l’inflazione italiana sopra i livelli pre-crisi. E’ il rischio di cui tanto parla da mesi la BCE, relativo alla cosiddetta “inflazione di fondo”. Questa ha accennato la discesa solo ad aprile, restando nettamente superiore al target del 2%.

C’è anche la questione salariale a rappresentare una minaccia alla stabilità dei prezzi. Gli stipendi dei lavoratori nell’Area Euro sono cresciuti pochissimo nell’ultimo anno, ancora meno in Italia. Tuttavia, man mano che i contratti dovranno essere rinnovati le richieste dei sindacati potrebbero incorporare gli aumenti dei prezzi passati, perpetuandoli. Ci sono segnali in tal senso da economie come la Germania, note per la loro moderazione salariale. Complice la carenza di manodopera in molti settori e gli alti livelli di occupazione nel Nord Europa, la BCE teme che l’inflazione continui a salire anche con la cessata crisi dell’energia. Per questo cerca di “raffreddare” le aspettative con aumenti dei tassi d’interesse che proseguiranno a giugno e probabilmente a luglio, se non persino dopo l’estate.

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