Avremo anche scritto la Divina Commedia, ma pare che poi in pochi nello Stivale l’abbiamo letta. I numeri dell’ISTAT sul mercato del lavoro in Italia non lasciano spazio ai dubbi: il titolo di studio medio è troppo basso per garantire un’alta occupazione. Nella fascia di età tra i 25 e 64 anni, i laureati nel nostro Paese risultano essere il 20% contro una media europea del 33,4%. E coloro che hanno almeno conseguito gli studi secondari (diploma) ammontano al 62,7% contro il 79,3% della media UE.

Numeri drammatici sull’istruzione italiana

In parole semplici, appena un quinto degli italiani tra 25 e 64 anni si è laureato contro un terzo dell’Europa. E meno dei due terzi hanno preso il diploma contro i quattro quinti nel resto della UE. Che il possesso di un titolo di studio basso sia legato alla scarsa occupazione lo dimostrerebbero altri dati: il tasso di occupazione tra i laureati di età compresa tra 25 e 64 anni era nel 2021 dell’82,1%, tra i diplomati del 70,3% e tra tutti gli altri appena il 51,4%.

Avete presente quando scriviamo che l’occupazione media nella UE sia di quasi il 70% contro meno del 60% in Italia? Ebbene, ciò avrebbe molto a che fare proprio con il titolo di studio, fatto salvo che persino tra i laureati italiani lavorino in media 4,3 persone in meno su 100 rispetto alla media continentale.

E anche in questi casi, bisogna disarticolare i dati per area geografica per capire cosa accade concretamente nel Bel Paese. A fronte di un 41,6% di laureati nella fascia di età 30-34 anni in UE, nel Centro-Nord Italia si scende al 30% e al Sud si sprofonda al 20,7%. La media nazionale si attesta così al 26,8%. E sebbene le donne italiane siano mediamente più istruite dei colleghi uomini, tra di loro il tasso di occupazione risulta del 55,7% contro il 75,8%.

Titolo di studio e bassa occupazione

In questi giorni si parla di scuola per la ridenominazione del Ministero per l’Istruzione e il Merito.

Si scontrano tesi opposte tra i sostenitori della meritocrazia quale componente essenziale dell’uguaglianza e coloro che ritengono che il termine celi una giustificazione delle disuguaglianze. L’Italia è molto brava ad organizzare convegni e a dibattere su qualsiasi tema, persino sul genere con cui declinare un ministro o la neo-premier. Molto meno lo è nel porre rimedio alle sue debolezze croniche. La bassa occupazione è una di queste ed è strettamente legata al basso titolo di studio mediamente conseguito dagli italiani.

L’attenzione all’istruzione non è mai stata seriamente elevata negli ultimi decenni. Al contrario, governi di tutti i colori politici hanno cercato di risparmiare sulla scuola. I risultati li vediamo. In un mercato globalizzato, un’economia avanzata come la nostra può competere solo producendo ed esportando beni ad alto contenuto tecnologico. Ma ciò è possibile solo se disponi di manodopera qualificata, cioè di lavoratori con titolo di studio medio-alto. Se questa condizione necessaria non sussiste, non resta che competere sui prodotti tecnologicamente poveri. Ma così facendo, ci si espone alla concorrenza delle economie emergenti e degli immigrati.

Gli stipendi dei lavoratori restano fermi o si riducono, le produzioni si delocalizzano e poiché il titolo di studio non permette di percepire retribuzioni adeguate, l’istruzione secondaria e terziaria è vissuta quasi con fastidio dalle famiglie. In pratica, come un cane che si morde la coda, la scuola diventa percepita quasi inutile. Ciò spiegherebbe la bassa scolarizzazione medio-alta in Italia, oltre alle dimensioni medie cronicamente piccole delle imprese. I loro capitali insufficienti per gli investimenti riducono l’innovazione, la competitività e le assunzioni di manodopera qualificata. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui in Italia relativamente pochi giovani frequentano l’università e molti di essi fuggono all’estero dopo la laurea.

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