Trasformare il reddito di cittadinanza in lavoro di cittadinanza. La proposta è stata lanciata dal ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, esponente di spicco della Lega, pur a volte critico verso il leader Matteo Salvini. Facile a dirsi, ma passare ai fatti sarebbe complicato. Il ministro nota giustamente come la Costituzione renda pienamente cittadini grazie al lavoro. L’idea sarebbe di usare i fondi impiegati ad oggi per il sussidio a favore delle imprese che assumono. In questo modo, si creerebbe occupazione, l’obiettivo formale che stava dietro anche al reddito di cittadinanza e che si è rivelato un flop da questo punto di vista.

Il lavoro di cittadinanza sembra un concetto auspicabile, ma tradurlo in realtà non è alla portata in Italia. Il tasso di occupazione nel nostro Paese non arriva al 60%, una decina di punti sotto la media europea. Al sud, scende fino al 40% in regioni come la Sicilia. Ad occhio e croce, mancano almeno 4 milioni di posti di lavoro per tendere alla media europea. A quel punto, potremmo persino ragionare di reddito di cittadinanza. Non in una situazione in cui gran parte della popolazione non lavora e rischia così di pesare sui pochi produttori di ricchezza.

Lavoro di cittadinanza proposta teorica

Altra proposta arrivata dalla stessa maggioranza, stavolta da Forza Italia, è quella dell’imposta negativa sul reddito. Si rifà a un’idea che fu di Milton Friedman, economista e Premio Nobel. In sintesi, i cittadini pagherebbero le imposte sopra una certa soglia di reddito, mentre al di sotto di essa riceverebbero dallo stato l’equivalente dell’aliquota non versata. Ad esempio, tutti i contribuenti pagano il 20% sopra 10.000 euro. Se dichiaro un reddito zero, otterrò dallo stato 2.000 euro (il 20% di 10.000 euro). Se ne dichiaro 3.000, lo stato mi verserà 1.400 euro (20% sulla differenza tra 10.000 e 3.000).

Alla base dell’imposta negativa sul reddito vi è un concetto rivoluzionario: anziché erogare servizi, lo stato dovrebbe dare soldi in contanti alle fasce della popolazione più povere.

In questo modo, ognuno sceglierebbe liberamente sul mercato i servizi di cui ha bisogno, evitandosi la nascita di apparati burocratici con annessi sprechi di denaro pubblico. Ma davvero l’Italia sarebbe pronta a una simile rivoluzione? E quali servizi andrebbe a sostituire l’imposta negativa sul reddito, il cui importo risulterebbe necessariamente contenuto?

Tornando al lavoro di cittadinanza, l’idea resta affascinante, ma non è scevra da rischi. Se pago un’impresa per assumere un dipendente, probabile che questa lo impiegherà per il solo fatto che sia gratis. Più che occasioni di lavoro, si creerebbero esperienze poco edificanti e non qualificanti, fornendo la falsa illusione che il mercato stia offrendo chance a chi prima non le aveva. Il lavoro di cittadinanza sarà possibile solo creando le condizioni per assumere stabilmente: tassazione contenuta, poca burocrazia e infrastrutture. E’ più facile immaginare palliativi, anziché aggredire la realtà.

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