Le elezioni politiche del 4 marzo ci hanno consegnato un’Italia divisa in due. La Lega di Matteo Salvini ha spopolato nel Centro-Nord, il Movimento 5 Stelle al Sud. Abbiamo più volte rimarcato come questo differente risultato debba intendersi in maniera meno netta di quanto appaia. In pratica, un italiano su due in ogni regione ha votato per formazioni anti-establishment ed euro-scettiche, solo che a seconda delle latitudini sono state molto diverse le percentuali del consenso. Pur avendo varcato il Po ed essendosi trasformato in una realtà nazionale, il Carroccio non poteva certo ancora ambire a raccogliere gli stessi voti di partiti di ispirazione nazionale sin dalla loro nascita.

Già oggi, però, la Lega in Sicilia prenderebbe il 22%, stando a un sondaggio recente. Tuttavia, è innegabile che siano state diverse le istanze: al Nord, gli elettori hanno chiesto essenzialmente a Salvini tutele sul fronte della sicurezza e dell’ordine pubblico e l’abbattimento delle tasse. Il popolo delle partite IVA e delle piccole imprese si è affidato all’uomo che più ritiene possa rappresentarlo nella battaglia per un fisco più leggero e per città più vivibili.

Reddito di cittadinanza, ma al sud ha vinto la speranza o la rassegnazione?

Al Sud, il discorso cambia parecchio. Qui, l’emergenza è il lavoro e nell’attesa che finalmente lo si crei, serve come campare. Per questo, la proposta del reddito di cittadinanza ha premiato i grillini. La voglia di vivere di assistenza non è radicata nemmeno sotto Roma in maniera significativa, semplicemente milioni di cittadini non hanno realmente come sbarcare il lunario, se si pensa che i famosi lavori che nessun italiano più vuole fare vengano retribuiti con cifre da terzo mondo, come 1-2 euro l’ora nei campi.

La Grecia d’Italia al Sud

Il Meridione è il vero grande problema irrisolto da secoli dell’Italia. Qui, il pil pro-capite supera appena i 18.000 euro all’anno, risultando quasi dimezzato rispetto al Nord.

Il tasso di disoccupazione è vicino al 20%, mentre al Settentrione giace sotto il 7%. L’occupazione si attesta su livelli non occidentali, ossia sotto il 50%, mentre al Nord si avvicina al 70% e si mostra in linea con la media europea. Oltre un giovane su due tra 15 e 24 anni non ha un lavoro e se solo il 17% dei giovani risulta occupato in Italia contro il 45% della Germania, possiamo scommettere che sotto Roma la percentuale scenda a meno del 10%. In sostanza, l’Italia si presenta come una piccola Germania al Centro-Nord e come una grande Grecia al Sud.

Qualcuno eccepirà che l’evasione fiscale, il sommerso, il lavoro nero siano parecchio diffusi al Sud e, pertanto, i problemi economici appaiono ingigantiti dalla statistica, il che è vero. Non possiamo pensare davvero che esistano milioni di famiglie che vivano senza nemmeno un centesimo di entrate all’anno. Se così fosse, sarebbe stata rivolta violenta da anni. E’ evidente che le dichiarazioni siano perlopiù infedeli e, aggiungiamo, a questo punto, per fortuna. Tuttavia, ciò è il riflesso di un’economia alla frutta, perché per quanto rassicuri che un finto povero in realtà abbia un lavoro in nero, non possiamo immaginare che questa sia la condizione sociale a cui una popolazione da 20 milioni di anime possa e debba permettersi di ambire. E si consideri che se ancora al Sud molte famiglie si barcamenano tra mille difficoltà e vivono in dignità è spesso perché almeno uno dei suoi componenti ha un lavoro pubblico.

La manovra di bilancio del governo giallo-verde non affronta nessuno dei veri problemi del Sud, così come del Nord, limitandosi a offrire risposte immediate alle esigenze di sopravvivenza di milioni di persone in condizioni critiche, senza che si sappia, però, se i denari pubblici vadano effettivamente a finire nelle tasche giuste e se essi creeranno le condizioni per ripartire.

Decisamente meglio sarebbe stato investire quel gruzzolo da 10 miliardi del reddito di cittadinanza per incentivare le assunzioni, specie dei più giovani, magari attraverso un abbattimento contributivo, oppure tagliare le tasse alle famiglie oltre gli spiccioli di cui beneficeranno le partite IVA dall’anno prossimo.

Il reddito di cittadinanza premia i furbi ed è una resa alla mala politica al sud

La questione del Nord

Salvini, che non è più l’esponente di un partito nordista che invoca la secessione dal resto del Paese, non può chiudere gli occhi per il resto sugli enormi residui fiscali delle regioni settentrionali, ossia quanto resta sui territori del gettito raccolto dai contribuenti residenti, dopo avere provveduto al pagamento dei beni e dei servizi in loro favore. Al netto delle difficoltà di calcolo, visto che alcuni beni come la difesa sono per loro natura nazionali e beneficiano tutti i cittadini, non si può nemmeno fingere di non vedere che Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana messi insieme versino a Roma ogni anno più di 100 miliardi di quanto ricevano in prestazioni di vario genere, mentre Sicilia, Puglia, Calabria, Campania e Sardegna ottengano pagamenti netti per complessivi 34 miliardi. In termini pro-capite, ciascun lombardo ogni anno versa allo stato oltre 5.200 euro in più, praticamente quasi il 30% di quanto percepisca mediamente un meridionale. Sono numeri di una nazione tenuta insieme con lo sputo, che da un lato produce e dall’altro consuma, con lo stato a fungere da semplice redistributore (inefficiente) della ricchezza.

Vero è che la Lega non ha più in animo la secessione e, anzi, è ormai percepita come un partito “nazionalista” contro l’Europa dei commissari. Questo non significa, però, che le istanze di cui si è fatta portavoce per decenni non esistano più. Al popolo del Nord dovrà offrire risposte concrete nel tempo, così come al Sud non potrà pensare di avere chiuso la partita dei consensi annuendo al reddito di pura sussistenza.

Serve capire a Roma, che bisogna risolvere il dilemma di un’economia duale, in cui un terzo della popolazione produce poco più di un quinto della ricchezza e vive in condizioni da Grecia fallita, mentre il Nord vanta indicatori non secondi nemmeno a quelli delle ricche regioni tedesche come la Baviera e il Nordreno-Vestfalia. Noi parliamo tanto di rischio Italexit, che si torni alla lira per l’impossibilità di restare nell’euro, ma siamo sicuri che subito dopo non saremmo costretti a prendere nota che Nord e Sud così non possono continuare a vivere pacificamente assieme? Se da un lato l’Eurozona è diventata una gabbia che impedisce a Roma di intervenire adeguatamente per ricomporre le due parti della nazione (ma nemmeno con la lira ci è riuscita in 140 anni di unità), dall’altro consente almeno alle imprese del Nord di attutire il colpo di un Meridione povero e assistito, attraverso le esportazioni in mercati di sbocco ricchi e vasti. Peccato che a pagare pegno sembri essere proprio il Sud, che con una moneta molto più forte dei suoi fondamentali sembra destinato ad andare ancora più indietro.

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