Alla fine di settembre, i ministri dell’Energia dell’Unione Europea hanno votato a favore di una soluzione unitaria per cercare di risolvere la crisi dell’energia di questi mesi. Oltre a ipotizzare il taglio del 5% dei consumi nelle ore di punta, il consesso ha partorito una sorta di price cap, pur legato ai ricavi. Contrariamente a quello proposto anche la scorsa settimana dall’Italia e appoggiato solo da Belgio, Grecia e Polonia, esso non riguarda il prezzo. E’ stato suggerito, infatti, un tetto ai ricavi sopra 180 euro per Mega-wattora.

Praticamente, per i consumatori non cambierebbe nulla. Solo che le aziende produttrici non potrebbero incassare più della cifra indicata sulla quota di energia elettrica generata da componenti diverse dal gas, dal carbone ed escludendo dal tetto anche gli impianti che utilizzano serbatoi per l’approvvigionamento.

Come funzionerebbe il sistema contro il caro bollette

In altre parole, se il price cap all’europea entrasse in funzione, per ipotesi un’azienda che vendesse energia a 200 euro per Mega-wattora si vedrebbe “confiscata” dallo stesso l’eccedenza dei 20 euro sopra il tetto massimo di 180 euro. Con quel denaro, gli stati potrebbero sostenere famiglie e imprese contro il caro bollette. Questa misura sarebbe tutt’altro che una soluzione. Anzitutto, perché il prezzo dell’energia rimarrebbe esposto alla speculazione sui mercati. Secondariamente, i consumatori avvertirebbero ugualmente la stangata. Pensate che prima di questa crisi, i prezzi del gas variavano storicamente da 15 a 30 euro per Mega-wattora. Anche nel caso di un price cap a 180 euro, parliamo di un multiplo fino a 10-12 volte la media storica.

Terzo, sarebbe una presa in giro, specie per paesi come l’Italia. Infatti, il nostro Paese genera gran parte dell’energia elettrica usando gas naturale. Nel 2020, secondo i dati forniti da Terna, circa l’83% delle centrali termoelettriche erano alimentate a gas.

Questo significa che il tetto ai ricavi potremmo fissarlo per una quota minoritaria. E poiché sono anche numerosi i serbatoi di approvvigionamento tra le centrali, ne consegue che l’extra-gettito risulterebbe risibile. Lo stato italiano non disporrebbe di maggiori entrate significative da destinare contro il caro bollette.

La Germania ne uscirebbe vittoriosa. Infatti, circa il 40% della sua energia è prodotta ricorrendo a fonti rinnovabili, mentre il 12% grazie al nucleare e, infine, circa il 15% per mezzo della lignite. A differenza del carbone, questa componente sarebbe sottoposta al price cap ipotizzato dall’Europa. Praticamente, circa i due terzi dell’energia generata in Germania rientrerebbe potenzialmente tra le voci su cui il governo riuscirebbe a prelevare denaro oltre la soglia-limite dei ricavi. Al dato, tuttavia, va detratta la quota prodotta presso centrali che dispongono di serbatoi di approvvigionamento.

Price cap inefficace, Germania apre a modello Sure

Tirando le somme, ci troveremmo dinnanzi all’ennesimo regalo pensato a favore della Germania, a discapito di qualsivoglia soluzione unitaria credibile ed efficace. Il piano era stato messo a punto prima che il governo Scholz varasse un piano di 200 miliardi di euro a favore di famiglie e imprese tedesche. L’ira delle altre capitali è tanta, al punto che Berlino starebbe aprendo ad emissioni comuni di debito sul modello Sure per aiutare i governi nazionali ad offrire sostegni contro il caro bollette. Il cancelliere Olaf Scholz avrebbe fiutato l’aria, consapevole che a Bruxelles siano adirati per questo suo piano nazionale, che rischia di mandare in frantumi l’Unione Europea.

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