Le quotazioni del petrolio sono schizzate ieri ai massimi dalla fine del 2012, cioè da oltre 7 anni. Un’oncia costava oltre 1.680 dollari, in rialzo del 10% quest’anno. Per contro, il prezzo del petrolio è crollato nelle contrattazioni internazionali, con il Brent a perdere oltre il 4%, scendendo sotto i 56 dollari al barile, -15% da inizio anno. E sempre ieri, il rendimento a 10 anni del Treasury è scivolato sotto 1,40%, attestandosi all’1,36%, oltre mezzo punto percentuale in meno da inizio anno. Nel frattempo, il Bund della Germania sulla medesima scadenza offriva il -0,50%.

Tutto si lega: la psicosi da Coronavirus sta spingendo i capitali verso i beni percepiti come sicuri, tra cui l’oro per eccellenza.

E la paura per l’impatto negativo che la pandemia avrebbe sull’economia mondiale zavorra le quotazioni petrolifere, dato che la Cina starebbe rallentando e forse ingrana la retromarcia, a causa dello stop alla produzione in gran parte del suo territorio nazionale e al crollo dei consumi, con le vendite di auto nella prima metà di febbraio ad avere segnato -92%. Il tonfo dei rendimenti sovrani si spiega proprio con la ricerca di assets sicuri da parte degli investitori, ma anche come risposta al crollo del greggio. Se le materie prime costano di meno, l’inflazione attesa si riduce e i rendimenti pretesi dal mercato scendono anch’essi.

Alla lunga, però, non può andare sempre così, non quando sarà passata la fase critica sul piano delle paure e si passerà ad analizzare prettamente i dati macro. L’oro in salita e il petrolio in discesa sembrano in contraddizione. Il metallo è l’asset in cui tipicamente ci si rifugia per tutelare il potere di acquisto, mentre il petrolio tende a incidere, nell’uno o nell’altro senso, proprio sul livello dei prezzi. Se l’economia rallenta e se ne consuma di meno, il suo prezzo diminuisce e non c’è granché ragione di comprare oro contro l’inflazione, a meno di non scontare scenari preoccupanti, come guerre, tensioni commerciali, politiche, finanziarie, etc.

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L’oro si sgonfia dopo l’emergenza?

Finita l’emergenza Coronavirus, l’oro dovrebbe ripiegare e il petrolio risalire un po’ insieme ai rendimenti sovrani e corporate. Ma la “normalizzazione” non sarà probabilmente immediata. Il 2020 è anno di elezioni presidenziali negli USA e come sempre capita, i mercati si mostrano nervosi nel periodo che precede l’election day, temendo l’arrivo alla Casa Bianca di candidati con programmi non collaudati e non del tutto prevedibili. Fino ad allora, il metallo dovrebbe tenersi relativamente caro, indipendentemente da tutto il resto. Per il resto, si mostra al momento molto più caro della sua media storica dell’ultimo decennio rispetto al greggio. Un’oncia oggi prezza quanto 30 barili, mentre dal 2010 ad oggi il rapporto è stato di poco superiore a 19, un terzo abbondante in meno.

In effetti, l’oro per il momento si compra a oltre il 20% del suo prezzo medio decennale, il Brent a quasi il 30% in meno. Chiaramente, trattasi di un puro riferimento, ma che ci dice qualcosa sull’apparente forza aurea un po’ eccessiva, in quanto non giustificata dai fondamentali, con questi ultimi che per approssimazione possiamo considerare captati dal petrolio. E non essendo attesa alle porte una crisi finanziaria, a parte la bassa o nulla concorrenza del mercato obbligazionario, nulla oggi giustificherebbe quotazioni così alte per il metallo, se non la paura. Che non durerà a lungo.

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