Si mostrano in rialzo le quotazioni del petrolio, che aprono la settimana di contrattazioni a 50,07 dollari al barile per il Wti americano, segnando un progresso dello 0,89%, mentre il prezzo del Brent si porta a 53,07 dollari (+0,80%). Dall’inizio del mese, il primo ha guadagnato l’11% e il secondo quasi il 10%. Alla base delle variazioni positive di oggi c’è il dato di Bagher Hughes sugli impianti estrattivi attivi negli USA, scesi di 20 unità la scorsa settimana. Secondo Goldman Sachs, ciò sarebbe compatibile con un calo della produzione americana di 255 mila barili al giorno tra il secondo e il quarto trimestre di quest’anno, anche se la stessa banca d’affari avverte che questa rapida discesa dovrebbe trasformarsi in una risalita dell’output tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2016.

Goldman Sachs mantengono invariata la loro previsione di un calo delle quotazioni fino a 20 dollari al barile, spiegando che la loro debolezza dovrebbe durare un decennio e non un lustro. Simile appare l’analisi di Barclays, secondo cui non si avvertirebbe un’inversione del trend per i prezzi delle materie prime, tranne che il pil mondiale non acceleri, cosa giudicata abbastanza improbabile.

L’ottimismo del top players dell’OPEC

Eppure, il ministro del Petrolio del Qatar, Mohammed Al Sada, ha dichiarato poche ore fa di essere convinto che le quotazioni del greggio abbiano già toccato il minimo e che siano destinati a risalire, grazie alla maggiore domanda per i 12 membri dell’OPEC, attesa a 30,5 milioni di barili al giorno nel 2016  dai 29,3 di quest’anno, così come per effetto del taglio del 20% degli investimenti nel settore quest’anno dai 650 miliardi del 2014. La maggiore domanda, spiega, arriverebbe sia dalle economie avanzate che da quelle emergenti. Anche il suo collega del Kuwait, Alì al-Omair, ritiene che una ripresa della domanda dovrebbe verificarsi nel primo trimestre dell’anno prossimo e che vi siano segnali di miglioramento dei prezzi.

Al contempo, conferma che il suo paese aumenterà la produzione di 50-100 mila barili al giorno dall’inizio del 2016 con l’obiettivo di portarla a 4 milioni di barili entro il 2020 dai meno di 3 milioni attuali.

Il legame tra rally e tassi USA

Nonostante il rimbalzo di ottobre, il prezzo del petrolio rimane più basso del 20% dai picchi toccati quest’anno, dopo il rally tra marzo e maggio. A rinvigorire il mercato è stato  l’allontanamento delle prospettive di un rialzo dei tassi USA a breve, cosa che sta indebolendo il dollaro, divisa in cui sono espresse le quotazioni delle commodities, stimolando la domanda. Il biglietto verde ha perso mediamente l’1,9% contro le principali valute del pianeta ad ottobre. Va da sé che se la stretta monetaria arrivasse entro l’anno, il rally delle valute emergenti di queste ultime sedute si tradurrebbe in una nuova ondata di deprezzamenti e svanirebbe il tonificante maggiore per le quotazioni del greggio di queste settimane.