Il crollo dello spread fino a un minimo di 196 punti base per la scadenza a 10 anni tra BTp e Bund allontana uno dei principali timori di quest’ultimo anno in Italia, vale a dire che le banche possano stringere i cordoni della borsa ed erogare meno mutui e a tassi più alti. Il legame diretto tra spread e mutui non è mai stato né chiaro, né provato. In estrema sintesi, quando i rendimenti sovrani aumentano, le banche trovano più difficile trattenere i clienti sul fronte della raccolta e dovranno offrire loro interessi più alti sui risparmi depositati agli sportelli.

La pressione sui costi si riverserà sui prestiti, che diverranno meno convenienti.

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Ma ora i rendimenti italiani sono scesi ai minimi dal 2016, sotto i livelli già bassi delle settimane immediatamente precedenti alla nascita del governo Conte. La BCE ha già ufficializzato la sua intenzione di non alzare i tassi fino ad almeno la prima metà del 2020 e sta segnalando piuttosto apertamente che taglierà i tassi overnight e varerà un nuovo ciclo di “quantitative easing”. Di conseguenza, i tassi di mercato stanno precipitando a livelli ancora più bassi, con l’Euribor a 1 mese al -0,39% e quello a 3 mesi al -0,35%, mentre l’Eurirs a 5 anni è sceso al -0,25%, quando a inizio anno stava in area 0,20%. E quello a 10 anni è passato dallo 0,77% allo 0,15%, a 20 anni dall’1,28% allo 0,64%.

Corsa al mutuo a tasso fisso nel 2019

Il crollo dell’Eurirs alle varie scadenze, a cui sono legati i mutui a tasso fisso, è stato certamente ben superiore a quello dell’Euribor, non fosse che per il fatto che quest’ultimo sia da anni già a livelli infimi e negativi. Ciò ha reso relativamente più conveniente il mutuo a tasso fisso, tant’è che l’80% delle richieste nel primo semestre è andato in tal senso e ben il 90% delle erogazioni effettive.

Ma con gli ultimi segnali dalla BCE è diventato molto evidente che i tassi resteranno bassi per un periodo più lungo di quanto ipotizzato fino a pochi mesi fa. Il 2019 esordiva con la prospettiva di un rialzo dei tassi nell’area già in queste settimane, magari con il board di fine luglio, mentre pian piano la prospettiva è stata rinviata di un anno.

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Se le aspettative accomodanti attecchiranno in maniera stabile, probabile che una quota crescente di nuove richieste opterà per il tasso variabile. Chi, ad esempio, ha contratto il mutuo a tasso fisso sin dal 2016, ad oggi si è sobbarcato un aggravio di costi per un periodo già più lungo di quanto allora immaginato e che con ogni probabilità avrà un contratto meno conveniente ancora per qualche anno.

Certo, il futuro non è decifrabile. Se i tassi restassero così bassi per ancora diversi anni, siamo sicuri che le famiglie non perderanno la pazienza e inizieranno a spostare i risparmi parcheggiati in banca senza alcuna remunerazione, investendoli magari in BTp? Se così fosse, paradossalmente le banche subirebbero una pressione sul fronte della raccolta e dovrebbero remunerare meglio i conti correnti e deposito, ma inevitabilmente rincarando anche mutui e prestiti. Uno scenario, tuttavia, reso non granché probabile dai rendimenti sempre più infimi per le scadenze medio-brevi dei bond, quelli che maggiormente minacciano i conti bancari. Sui 2 anni, ad esempio, già si è tornati sottozero.

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