Evo Morales non è più presidente della Bolivia e ha dovuto lasciare il paese per cercare asilo politico in Messico dopo le rivolte di piazza contro la sua rielezione con tanto di brogli certificati dall’Organizzazione degli Stati d’America. Lascia un’economia in crescita, per quanto ancora la più povera dell’America Latina, ma poco libera. Le sue politiche economiche per 13 anni sono state improntate a un socialismo soft, che ha consentito la libera iniziativa e la proprietà privata dei mezzi di produzione, al contempo caratterizzate dalla mano pesante dello stato nell’industria.

A inizio mese, dopo le proteste degli abitanti dell’area di Potosi, aveva rescisso il contratto con la tedesca ACISA, siglato a fine 2018, per lo sfruttamento delle miniere di litio.

Il litio abbonda nella regione di Salar de Uyuni e si tratta di una materia prima fondamentale per l’elettronica di consumo. E con l’avvento delle auto elettriche, la sua domanda è già in forte crescita di anno in anno e entro il 2025 dovrebbe raddoppiare i volumi del 2018, quando furono vendute nel mondo 85.000 tonnellate. La Paz sinora ha contribuito pochissimo all’offerta mondiale. Lo scorso anno, le estrazioni boliviane di litio sono state di appena 140 tonnellate. Tuttavia, il paese disporrebbe di riserve stimati per 9 milioni di tonnellate, davanti alle 8 milioni del Cile, che formalmente figura primo al mondo.

Bolivia senza Morales, il presidente indigeno e “cocalero” in fuga

Bolivia ricca di litio, cosa succede dopo Morales?

Come mai, quindi, la Bolivia sfrutta poco una risorsa che farebbe fin troppo comodo al suo sviluppo economico? Le cause sono diverse. Anzitutto, il litio si trova qui in una delle aree più remote del mondo. Le estrazioni appaiono non solo difficoltose sul piano logistico, bensì pure commerciale. A quotazioni nell’ordine dei 12.000 dollari per tonnellata, non è detto che lo sfruttamento sia conveniente per buona parte delle riserve, anche perché in America Latina il litio si trova perlopiù misto a sale e l’opera di separazione dei due elementi richiede tempo e costi.

E i governi di Morales non hanno sin qui fatto intravedere grosse opportunità d’investimento, data la loro natura poco favorevole alle imprese, specie straniere. La stessa retorica contro le multinazionali ha tenuto alla larga gli investitori dal puntare su una “commodity” dai costi estrattivi imponenti. Con l’addio del presidente socialista alla politica, la musica potrebbe cambiare. Lo sfruttamento delle immense riserve sarebbe in sé capace di spostare gli equilibri dalla Cina, dove si addensa la maggiore produzione, all’America Latina, dove le estrazioni annue complessive si attestano già a oltre un quarto del totale nel mondo tra Bolivia, Cile e Argentina.

Nemmeno farlo apposta, tutti e tre i paesi sono attraversati da tensioni e mutamenti politici. L’Argentina è tornata da poche settimane in mani peroniste, il Cile è teatro di imponenti manifestazione di piazza anti-governative e che hanno già provocato 18 morti. Se solo il futuro governo di La Paz accogliesse meglio i capitali stranieri e si arrivasse a estrazioni in linea con i livelli del resto del Sud America, sul mercato globale affluirebbe una maggiore offerta di litio per oltre 22.000 tonnellate all’anno, ampliando quella globale di almeno un quarto. Sarebbe un impatto forte per le quotazioni internazionali e i concorrenti stranieri, un grosso beneficio per stati importatori e consumatori. Resta da vedere se Morales fosse il più grande ostacolo alle estrazioni o se fattori geologici e commerciali continuino a impedire tassi di sfruttamento più adeguati.

Batterie al litio, Cile la nuova Arabia Saudita con business auto elettriche

[email protected]