
di Michael Stephens – Olivier Blanchard (chief economist del FMI) e Leigh Daniel ci dicono nel loro nuovo working paper che il FMI ha “significativamente sottovalutato” i danni inflitti dall’austerità all’occupazione e alla crescita in Europa. Gli autori stanno però attenti ad insistere sul fatto che i loro risultati non implicano che l’austerità debba essere abbandonata: “Gli effetti a breve termine della politica fiscale sull’attività economica sono solo uno dei tanti fattori che devono essere considerati nel determinare il ritmo appropriato di risanamento dei conti pubblici per ogni singola economia.” Il particolare ritmo di risanamento dei conti pubblici della Grecia, richiesto dalla “troika” UE-BCE-FMI in cambio del salvataggio della Grecia, ha contribuito a provocare un aumento della disoccupazione di questo tipo: In una recente policy note, Giorgos Argitis concentra l’attenzione sull’ “accordo greco” raggiunto lo scorso novembre e conclude che, così come tutta la strategia della troika fino ad oggi, esso non può avere successo, neppure nei suoi limitati obiettivi. “[L]a struttura del debito pubblico greco non era sostenibile prima, non è diventata sostenibile dopo l'”haircut” nel marzo 2012, e non diverrà sostenibile come risultato della decisione dell’Eurogruppo di novembre“. CRISI GRECIA – Il problema non è solo che l’austerità sta creando livelli devastanti di disoccupazione (che, se avete seguito il dibattito, è fin troppo facilmente liquidata come un costo necessario, un segno di sofferenza virtuosa), ma che il danno economico è così severo che la strategia dell’austerità rischia di essere controproducente in se stessa, vale a dire, per quanto riguarda il suo specifico obiettivo di ridurre in modo significativo il rapporto debito PIL. L’austerità tiene bloccata la Grecia in quella che Argitis chiama la “trappola del default.