Quando si parla di Monte Paschi di Siena, la confusione regna sovrana. Il governatore toscano Eugenio Giani ha chiesto uno stop alla discussione sulle possibili nozze tra Rocca Salimbeni e Unicredit, temendo “6.000 esuberi”. Il problema è che questi esuberi rischiano di esserci, a fronte di 1.500 assunzioni, ma proprio se MPS dovesse rimanere da sola (scenario “standalone”). Nel frattempo, il Tesoro sta mettendo in conto una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, a cui parteciperebbe pro-quota. Al termine dell’operazione di cessione dei crediti deteriorati ad AMCO, detiene il 64,2%.

Pertanto, sottoscrivere in toto l’aumento richiederebbe risorse per circa 1,6 miliardi, poco più del miliardo e mezzo già accantonato a bilancio. Poi, ci sono i 3,5 miliardi di “deferred tax assets” (dta) che lo stato tramuterebbe in crediti fiscali per ricapitalizzare la banca senese.

Mustier lascerà Unicredit, nozze in vista con MPS e nuove perdite a carico dello stato

Su quest’ultimo punto, parte del Movimento 5 Stelle vorrebbe limitare il beneficio a 500 milioni, optando una fusione di MPS con Popolare di Bari e Carige, al fine di creare un polo bancario pubblico. L’opzione resta sul tappeto, ma non troverebbe granché di consensi tra gli stessi grillini. Invece, paradossalmente questi stanno facendo asse con il PD toscano contro il PD nazionale per contrastare la fusione con Unicredit. Il rischio per i democratici locali è di perdere il rapporto privilegiato (controllo fino a pochi anni fa) con una banca, che ad oggi ha 306 filiali su 1.421 in Toscana.

D’altra parte, il PD di Nicola Zingaretti si ritroverebbe nella posizione interessante di gestire il dossier sulla privatizzazione da possibile primo azionista di Unicredit, attraverso il “suo” Roberto Gualtieri all’Economia. Se guardassimo solamente ai valori di borsa odierni, MPS arriva a stento a 1 miliardo e Unicredit supera i 18. Ne consegue che il Tesoro deterrebbe una quota di circa 640 milioni su un valore combinato di 19 miliardi, cioè circa il 3,4%, risultando tra i primissimi soci.

Tuttavia, Equita stima la quota del Tesoro post-fusione fino all’11%, evidentemente scontando valori di concambio diversi da quelli di borsa in un’eventuale Offerta Pubblica di Scambio. In quel caso, lo stato risulterebbe di gran lunga primo azionista di Unicredit-MPS.

Azionisti e dipendenti MPS dal futuro incerto

Gli azionisti di MPS dovrebbero auspicare che la ricapitalizzazione della banca sia quanto più leggera possibile, ma allo stesso tempo per loro forse la soluzione migliore sarebbe proprio la fusione, in quanto solo se Siena verrà inglobata da un istituto decisamente più solido il titolo si stabilizzerà nel tempo. Per contro, la fusione difficilmente potrà avvenire senza una previa ricapitalizzazione, perché Mustier o meno, Piazza Gae Aulenti non ha intenzione di accollarsi perdite dall’operazione. Un ennesimo bagno di sangue per gli azionisti sembra più che probabile, in attesa di scoprire se quello a carico dei dipendenti verrebbe reso meno cruento dalla fusione o se gli esuberi ipotizzati dallo stesso cda di MPS saranno pretesi dal prossimo Ad di Unicredit per procedere alle nozze.

Astraendo dagli interessi particolari e politici sin troppo evidenti, dovremmo tifare per una soluzione che esiti il rafforzamento del sistema bancario domestico nel suo complesso, altrimenti esso rischia di essere smontato pezzo per pezzo da acquisizioni estere che faranno migrare know-how, prestiti e risorse umane nel resto d’Europa, Francia e Germania in primis. Ma va da sé che MPS non può più sperare di irrobustirsi ai danni dei contribuenti, dovendo necessariamente trovare un cavaliere bianco che la porti sull’altare. E Unicredit appare l’ultimo sbocco realistico. L’alternativa sarebbe la creazione di uno sgangherato polo pubblico che continuerebbe a drenare risorse dal bilancio dello stato “sine die”. A meno di non ipotizzare che sarà consentita la vendita a un qualche colosso straniero.

Azione collettiva contro MPS sulle irregolarità di bilancio anni 2012-2017

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