Alla Borsa di Shanghai è panico. Lo Shanghai Stock Exchange Composite Index ha aperto la seduta di mercoledì con un crollo del 7,8% e ha chiuso con perdite del 5,8% a 3.507,12 punti. In appena 28 giorni, il tonfo è stato pesante: -32,1%. Pur restando in rialzo del 70% su base annua, resta il fatto che la borsa cinese abbia perso 1.500 miliardi di dollari di capitalizzazione in meno di un mese, scendendo a meno di 5.000 miliardi. Quasi 1.300 titoli sono stati sospesi per eccesso di ribasso nel corso della seduta da poco terminata, il 45% del totale.

Eppure, la People’s Bank of China (PBoC), la banca centrale cinese, ha tagliato i tassi oltre una settimana fa, per aumentare la liquidità interna e sostenere i corsi azionari. Per non parlare dell’authority finanziaria, che ha nelle scorse settimane allargato le maglie dei regolamenti per l’erogazione delle garanzie sugli acquisti azionari: i margini sul trading dei titoli potranno essere garantiti anche dai beni immobili. Lo scoppio della bolla di Shanghai non ha effetti limitati alla sola finanza. Le banche cinesi hanno prestato 1.500 miliardi di yuan (241 miliardi di dollari) al mercato azionario, attraverso gli strumenti derivati, denominati “umbrella trusts”. E un altro trilione di yuan (161 miliardi di dollari) è stato prestato a investitori, che hanno garantito i finanziamenti con i titoli azionari.   APPROFONDISCI – In Cina vacilla la borsa, il cui boom non ha stimolato la crescita  

E’ ancora presto per lanciare l’allarme

Tuttavia, si fa presto ad allarmarsi. Gli “umbrella trusts” non si traducono in un colpo immediato per le banche, in quanto le prime perdite sono sostenute dagli investitori che hanno preso in prestito il denaro. E bisogna che le azioni crollino del 60%, perché il collaterale di garanzia offerto alle banche non si traduca in un buco di bilancio per queste ultime. Detto ciò, a Pechino c’è paura, come dimostra il blocco delle scommesse ribassiste, che il governo ha imposto per evitare perdite più accentuate.

Un intervento molto criticato dagli analisti, perché è evidente che chi vuole vendere, resterà col desiderio di farlo e il rischio  è che i prezzi attuali dei titoli non riescano a rispecchiare le effettive forze del mercato, ovvero continuerebbero ad essere sopravvalutati.   APPROFONDISCI – La Cina non rianima la Borsa di Shanghai: -29% in 3 settimane. Caccia ai ‘predatori’  

Scoppio bolla finanziaria Cina è rischio per crescita economia mondiale

Sono quasi 90 milioni gli investitori in Cina e l’80% degli investimenti individuali si ha in titoli delle società quotate proprio a Shanghai. A causa della relativa chiusura del mercato finanziario cinese, le  perdite di queste settimane restano per lo più confinate alla Cina, ma creano ugualmente timori per la crescita dell’economia mondiale, perché potrebbe rallentare la corsa del pil cinese, già stimata al ritmo più basso degli ultimi 25 anni. Se gli investitori cinesi dovessero iniziare a tagliare i consumi, a causa della necessità di tenere maggiore liquidità a copertura delle eventuali esposizioni verso le banche, e se queste riducessero il credito a famiglie e imprese per non scoprirsi troppo in una fase di crollo della borsa, il risultato sarebbe un calo delle importazioni cinesi dal resto del mondo, con un impatto negativo, in particolare, per il mercato dei beni di lusso. Ma ne soffrirebbe anche la crescita, visto che la stessa domanda interna potrebbe rallentare, contraendosi probabilmente gli investimenti, che rappresentano il 40% del pil. Un primo effetto del crollo di Shanghai lo si sta registrando sul mercato petrolifero, con le quotazioni scese fino a 56 dollari al barile per il Brent, anche in considerazione delle minori importazioni di Pechino, che in questi mesi ha impedito un crollo ancora maggiore dei prezzi energetici con la sua domanda sostenuta.

In parole povere, la Cina potrebbe esportare deflazione nel resto del pianeta, se contribuisse in maniera determinante a una nuova fase calante delle quotazioni del greggio.   APPROFONDISCI – Il Fondo Monetario alla Cina: lo yuan non è più sottovalutato, ma spingete i consumi