Ci sono voluti venti anni per ritrovare il cambio euro-dollaro alla pari. Sembra un’altra era quando sfiorava 1,60. E, in effetti, parliamo del 2008. Non è lontanissimo dal punto di vista temporale, solo che da allora è cambiato il mondo. La crisi finanziaria globale scaturita dal crac di Lehman Brothers ha stravolto i connotati delle principali banche mondiali. Gli stessi governi mostrano un approccio più pragmatico e meno ideologico alle relazioni commerciali, finanziarie e alle politiche fiscali. Ma in tutti questi anni c’è stata una certezza: l’Eurozona è la principale area esportatrice del pianeta.

Ebbene, anche questo dato apparentemente immutabile della storia è stato sovvertito in pochi mesi. La crisi energetica ha trasformato l’Eurozona in un’area importatrice. Nei primi quattro mesi dell’anno, il suo passivo commerciale supera gli 85 miliardi di euro. E il rosso persiste sin dallo scorso mese di novembre.

Made in Italy avanza negli USA

Ma se Bruxelles piange, Washington non ride. Nei primi cinque mesi del 2022, la bilancia commerciale americana ha registrato un passivo di 448,65 miliardi di dollari, in netto peggioramento dai -326,59 miliardi dello stesso periodo del 2021. Nell’intero anno, rischia di oltrepassare i 1.000 miliardi di dollari di rosso, esibendo un peggioramento di 300 miliardi.

Il cambio euro-dollaro 1 a 1 non è una buona notizia per nessuna delle due parti. Per l’Eurozona significa acquistare materie prime a costi più alti, quando già i prezzi sono esplosi nell’ultimo anno. Per gli USA si traduce nell’ulteriore perdita di competitività per le sue imprese. E la stagione delle trimestrali potrà segnalare l’impatto negativo che il super dollaro sta avendo sui bilanci societari. Le aziende esportatrici, infatti, anche qualora non stessero ancora registrando alcuna contrazione delle vendite all’estero, certamente dovranno iscrivere a bilancio ricavi in calo, una volta che saranno convertiti in valuta locale (dollaro).

Ma questo indebolimento del cambio euro-dollaro sta facendo bene alle nostre esportazioni? Una risposta più esaustiva la avremo quando sarà finita l’estate.

I turisti americani trovano in questi mesi vantaggioso trascorrere le vacanze in Europa. Viceversa, farsi il classico weekend a New York significa per noi europei pagare un occhio della testa. Per adesso, sappiamo che nei primi cinque mesi dell’anno la bilancia commerciale italiana con gli USA segna un avanzo di 15,6 miliardi di dollaro, +1,35 miliardi su base annua. Invece, la Germania segna un avanzo di 26,4 miliardi, in calo di mezzo miliardo rispetto allo stesso periodo del 2021.

Cambio euro-dollaro debole colpisce più la Germania

Le variazioni appaiono ancora modeste per indicare una tendenza decisa, ma c’è che i primi segnali vanno nella direzione giusta per il Made in Italy, mentre le esportazioni tedesche arrancano. Come si spiega? Le esportazioni italiane sono tipicamente più sensibili al cambio euro-dollaro, essendo a minore contenuto tecnologico e, quindi, esposte a una maggiore concorrenza di prezzo. Le esportazioni tedesche sono meno dipendenti dal fattore cambio e in questa fase starebbero pagando anche le criticità legate ai colli di bottiglia. Le produzioni di auto, elettrodomestici e prodotti di elettronica di consumo risentono dei lockdown asiatici e della carenza di materie prime come i chip.

A Berlino non c’è gioia per la parità tra euro e dollaro. Le sue imprese sostengono costi d’importazione più alti, compresi dei prodotti energetici, a fronte di benefici marginali sul fronte delle esportazioni. Ecco spiegata la pressione che la Bundesbank sta facendo sulla BCE per ottenere il rialzo dei tassi. La Germania si ritrova con alta inflazione e una bilancia commerciale in rosso. E la debolezza del cambio euro-dollaro non le giova in nessun caso. E attenzione a pensare che l’Italia stia vincendo la sfida. Al 30 aprile scorso, la nostra bilancia commerciale registrava un passivo di 10,6 miliardi di euro.

Vendiamo un po’ di più negli USA, ma acquistiamo a costi esorbitanti in Russia.

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