Inutile girarci attorno, la conferenza stampa di Christine Lagarde dopo il board BCE di giovedì scorso è stato uno choc per mercati e governi dell’Eurozona. Nessuno si aspettava un cambio così repentino di linea a Francoforte, non certo dopo che il comunicato ufficiale esitato ricalcava alla perfezione il precedente di dicembre. Invece, il governatore ha spiegato ai giornalisti che c’è “crescente preoccupazione sui rischi legati all’inflazione” e ha invitato a guardare alle riunioni di marzo e giugno per capirne di più.

Il giorno seguente, Goldman Sachs sosteneva che le banche nell’Eurozona si attendono adesso un tasso sui depositi overnight a 0 entro l’anno. Considerando che quello attuale resti fissato al -0,50%, ciò implica due aumenti, previsti per settembre e dicembre da 0,25% ciascuno. E non è finita. Poiché la “forward guidance” spiega da anni che i tassi d’interesse saliranno solo dopo che saranno cessati gli acquisti dei bond, la BCE già a marzo annuncerebbe la fine del “quantitative easing” (QE) dopo giugno.

Dunque, sparirebbero per quest’anno acquisti per 150 miliardi di euro rispetto a quelli previsti finora. Altri istituti come Deutsche Bank vedono la fine del QE della BCE alla fine del secondo o terzo trimestre. Cambia poco. Passeremo da stimoli monetari di almeno 80 miliardi al mese fino a marzo a zero nel giro di pochi mesi. A farne le spese sono già i titoli di stato, i cui rendimenti stanno galoppando. Il decennale italiano offriva oltre l’1,70% venerdì, ai massimi da maggio 2020. Lo stesso Bund è salito nei pressi dello 0,20%. Stava sottozero fino a poche sedute fa da ben tre anni. I titoli tedeschi adesso rendono positivamente per scadenze sopra 5 anni. Il trentennale era negativo fino al 20 dicembre scorso, mentre in una settimana il biennale è esploso da 0,65% a 0,29%, riflettendo un’attesa rialzista dei tassi improvvisa.

La BCE foraggia il “re-pricing” sui mercati

In Italia, basta spostarsi ormai sopra i BoT a 12 mesi per toccare con mano rendimenti positivi.

Il trend rialzista coinvolge i Treasuries americani, con il decennale in area 1,90%. A gennaio, i posti di lavoro non agricoli negli USA son cresciuti di 467.000 unità, ben oltre le 150.000 attese. Adesso, il mercato scommette su un primo rialzo dei tassi dello 0,50% a marzo e inizia a considerare un possibile sesto rialzo entro l’anno. Malgrado ciò, il cambio euro-dollaro si porta sopra 1,14, riflettendo la virata restrittiva della BCE. E’ il “re-pricing” tanto atteso e arrivato senza avvertimento alcuno.

Dicevamo, minori acquisti di bond per 60-150 miliardi di euro nel corso del 2022 nell’Eurozona. Questo significa anche che i governi dovranno arrangiarsi sempre più da soli per rifinanziare i debiti in scadenza ed emetterne di nuovi. E’ vero che con i riacquisti dei bond effettuati tramite il PEPP fino al 2024 la BCE si tiene le mani libere, avendo anticipato che potranno avvenire in piena flessibilità. In pratica, all’occorrenza potrebbe acquistare più BTp e meno Bund senza violare alcuna regola. Ma non facciamoci illusioni. Non saranno questi espedienti a tenere stabile lo spread. Né sarà facile attuare la flessibilità teoricamente garantita dal programma, perché il Nord Europa alzerebbe la voce, specie se notasse squilibri di bilancio macroscopici a Roma, Madrid e Parigi.

Adesso si fa sul serio. Durante la pandemia, alla crisi sanitaria ha fatto da contraltare un allentamento monetario e fiscale senza precedenti. Ad un tratto, questo sta per svanire per lasciare il posto alla normalità. Il denaro avrà un prezzo e sarà la fine dei sussidi a pioggia. Il governo Draghi sarà chiamato a scegliere tra un ordine di priorità per cercare di rinvigorire l’economia. Data la sua maggioranza eterogenea, ciò porterà a frizioni sempre più forti tra i partiti che lo sostengono, specie in un periodo pre-elettorale.

Le proteste dei “no vax” rischiano per esso di essere un bel ricordo rispetto allo scenario che lo attende.

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