Vi ricordate il dibattito sul MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) in Italia prima che Mario Draghi diventasse premier? Sembrava che il nostro Paese non avesse alternative. PD, renziani e Forza Italia ripetevano dalla mattina alla sera che fosse più sensato per l’allora governo Conte chiedere e ottenere fino a 36 miliardi di euro per la sanità dall’istituto guidato dal tedesco Klaus Regling. Il nostro costo del debito era nettamente superiore, per cui avremmo risparmiato preziose centinaia di milioni all’anno.

Ebbene, servirebbe farsi un giro tra questi partiti per chiedere loro se l’Italia oggi debba accedere al MES o meno. Ieri, la differenza tra il costo del debito a 10 anni dell’Italia e dell’Unione Europea era di 150 punti basi o 1,5%. Per ogni miliardo di euro preso in prestito, risparmieremmo 15 milioni di interessi all’anno, 150 in 10 anni. Sui 36 miliardi di cui si dibatteva fino a inizio 2021, sarebbero 5,4 miliardi in meno alla scadenza.

La proposta tedesca sul MES

Ma i fans del MES di allora risponderebbero quasi certamente che oggi non esiste più alcuna emergenza sanitaria. In effetti, quel denaro era stato messo a disposizione contro la pandemia. Per fortuna, sembra che ci siamo messi alle spalle quel rischio. Tuttavia, si torna ugualmente a parlare di MES, ma in Germania. Un articolo pubblicato dal quotidiano finanziario Handelsblatt ha proposto di recente di istituire un fondo da 250 miliardi di euro per mettere in sicurezza i debiti degli stati del Sud Europa.

Questo fondo, sempre gestito dal MES, stanzierebbe fino al 4% del PIL di ciascun paese. E ne avrebbe bisogno “soprattutto” l’Italia, ma anche altri paesi come Grecia, Portogallo, Spagna e, addirittura, Francia. Questo presunto “bazooka” avrebbe per i tedeschi il merito di salvaguardare la stabilità sui mercati sovrani durante la stretta monetaria della BCE. Pura demenza. Anzitutto, avrebbe dimensioni ridicole.

L’Italia deve rifinanziare ogni anno debiti per qualcosa come il 15% del suo PIL, a cui si aggiungono le emissioni nette o deficit. Bene che vada, in questi anni siamo sui 4-500 miliardi. Il 4% del PIL offertoci gentilmente dal MES equivarrebbe a una settantina di miliardi. Il nulla.

Secondariamente, predeterminare un limite massimo farebbe solo il gioco della speculazione. E basterebbero pochi spiccioli per mettere KO gli stati. A quel punto dovrebbe intervenire la BCE per salvare tutti con la riattivazione di un QE illimitato. Insomma, i tedeschi non ci capiscono mai molto di mercati. Ma il fatto che il dibattito sul MES stia avvenendo, pur sul piano ufficialmente mediatico e non politico, significa che il problema esiste o almeno viene percepito.

Fondo salva-stati a guida italiana?

Tra pochi giorni dovrà trovarsi il successore di Regling, attuale direttore generale. L’Italia è in corsa con Marco Buti, capo di gabinetto agli Affari economici della Commissione europea. In pratica, è pupillo di Paolo Gentiloni. Un MES a guida italiana non sarebbe in sé certezza di garanzie sul nostro debito. Anzi, qualche investitore zelante potrebbe spingere a testare la volontà dell’istituto di sostenere i BTp. Tuttavia, indiscutibilmente meglio un italiano che un olandese. E non parliamo per puro spirito patrio. I dirigenti del Nord Europa hanno dimostrato grande incompetenza nel gestire i dossier di crisi. Basti guardare ai disastri commessi in Grecia, al netto di quelli auto-inflitti dalla stessa Atene.

Infine, cade il mito Draghi. Entrato a Palazzo Chigi per salvarci dal MES, anch’egli rischia di restarne vittima. Sbugiardata la narrazione di chi pretende di accollare al premier di turno le responsabilità della crisi del debito italiano. Accadde anche nel 2011, quando la politicizzazione dello spread portò a conseguenze assai gravi sul piano istituzionale e finanziario.

I tedeschi continuano a non fidarsi degli italiani – forse ne hanno ragione – e cercano un modo per commissariarli con il sorriso sulle labbra.

Il Fondo salva-stati erogherebbe prestiti solo dietro l’accettazione di crono-programma di riforme pluriennali. In parole povere, l’azione dei governi italiani sarebbe ipotecata per gli anni futuri. Ed è ciò a cui punta Berlino, a rendere ininfluenti i cambiamenti politici a Roma sul piano delle ripercussioni sui rapporti con l’Europa.

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