Nell’ultimo anno, i conti bancari degli italiani sono aumentati di 70 miliardi di euro, arrivando a quasi 1.558 miliardi di euro, che al netto dei pronti contro termine farebbero sempre qualcosa come circa 1.500 miliardi. Eppure, da tempo assistiamo a una campagna mediatica quasi di derisione nei confronti del denaro cosiddetto “parcheggiato”. Analisti, economici, banchieri e governi ci spiegano che trattasi di liquidità infruttifera, cosa sostanzialmente vera. L’ultimo rapporto mensile dell’Abi ci fornisce prove in tal senso: i conti correnti verrebbero remunerati mediamente al tasso dello 0,05%, quelli deposito allo 0,37%.

Nulla, molto meno dell’inflazione nel migliore dei casi. Considerando che un conto corrente, poi, ci costa annualmente tra commissioni e canone qualcosa come un’ottantina di euro all’anno, possiamo affermare senza problemi che effettivamente portare i soldi in banca di questi tempi sia un’operazione a perdere.

Conti correnti a rischio, dietro c’è la mano di Draghi

Verrebbe da dire che siano fatti nostri se vogliamo perdere o guadagnare. Ciascuno decide cosa ritiene sia meglio per i propri risparmi. Ma poiché le banche italiane di denaro ne prestano poco in giro e sulla liquidità in eccesso sono costrette da anni a pagare alla BCE un tasso negativo, a settembre incrementato al -0,50% (pur a fronte di una franchigia sui depositi), ecco che è diventato tutto un parlare di scarsa educazione finanziaria, ignoranza e presunta stupidità degli italiani.

Clienti al posto delle banche

La soluzione? Investire su azioni e obbligazioni. Giusto, in teoria. La sola inflazione, per quanto ormai quasi impercettibile, nel tempo erode il potere di acquisto dei risparmi. Se anche solo di attestasse in media all’1% all’anno, tra 10 anni 10.000 euro varrebbero come 9.053 euro di oggi. Senza motivo, abbiamo perso 947 euro, senza nemmeno considerare i costi legati alla tenuta del conto in banca. Per contro, se investissimo il denaro in azioni e/o obbligazioni, la storia ci dice che verosimilmente ci porteremmo a casa guadagni sostanziosi, per quanto bisogna spesso affrontare periodi di saliscendi vertiginosi e, in ogni caso, servirebbe diversificare gli investimenti anche affidandosi a un consulente finanziario, che non lavora certo gratis per noi.

Ma vi viene il dubbio che qualcosa in questo ragionamento non quadri? Perché i soldi in banca sarebbero inutili, se teoricamente è a questa liquidità che le banche stesse attingono per finanziare imprese e famiglie? In sostanza, le banche vorrebbero che fossimo noi risparmiatori a fornire direttamente i capitali a chi li richiede, evidentemente perché ritengono che sia per loro rischioso farlo. In effetti, gli impieghi in favore del settore privato risultano pari a 1.429 miliardi, nettamente inferiori alla raccolta tra la clientela. Come mai? Semplice, nell’ultimo decennio, a causa della crisi, molti crediti sono andati in malora e l’Italia ha sfiorato il 20% di tasso di deterioramento, tra i più alti in Europa.

Metteranno le mani nei conti correnti e i risparmiatori si ribelleranno ai governi

E, però, i risparmi dei clienti andrebbero bene per finanziare quelle stesse imprese che le banche non vorrebbero sostenere con prestiti propri. Da qui, l’incongruenza: il sistema Italia dovrebbero tirarlo avanti i piccoli risparmiatori, mentre gli istituti che posseggono la loro liquidità non la impiegano. Perché mai il singolo risparmiatore dovrebbe sostituirsi alla banca e addossarsi direttamente un rischio di credito con l’acquisto di obbligazioni o a titolo di capitale con l’acquisto di azioni, quando il sistema bancario segnala apertamente di non avere fiducia verso la nostra economia?

[email protected]