Lo scontro tra azionisti di Generali s’intensifica e coinvolge la Consob. In settimana, il presidente dell’authority, Paolo Savona, ha postato un messaggio irrituale su Twitter: “Non sono io a tenere sotto scacco la Consob, ma è la vecchia Consob a tenere in scacco Savona”. Lo sfogo è arrivato dopo la pubblicato di un articolo su Il Foglio dal titolo eloquente: “Non solo Generali. Così Savona tiene in osteggio la Consob”.

L’articolo puntava il dito contro le incertezze dell’authority di Vigilanza su questioni importanti per il mercato, tra cui la lista del CDA di Generali.

La compagnia assicurativa è oggetto di scontro tra due fronti. Da un lato ci sono gli imprenditori Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, rispettivamente al 7,9% e 6,6% delle azioni. I due sono sostenuti dalla Fondazione Crt all’1,5%. In totale, posseggono il 16,1% del capitale e puntano a rovesciare l’attuale dirigenza, a partire dal CEO Philippe Donnet.

A difendere il management c’è Mediobanca, primo azionista con il 12,8% e che grazie a un prestito titoli può arrivare al 17,2% delle azioni con diritto di voto. Il board dovrà essere rinnovato ad aprile, ma Generali applica un processo di selezione dei consiglieri esecutivi alquanto peculiare: il board uscente nomina il nuovo. Chiaramente, la proposta deve essere approvata a maggioranza dall’assemblea dei soci. Un metodo autoreferenziale sul quale i soci “pattisti” hanno chiesto lumi alla Consob, così come sul prestito titoli.

Dividendi e azioni Generali, boom sotto Donnet

A dicembre, l’authority si è espressa in maniera generale sul tema, notando come in Italia siano 52 le società quotate a prevedere per statuto tale sistema di nomine, di cui 11 lo mettono in pratica. Una risposta specifica su Generali potrebbe arrivare la prossima settimana, ma difficilmente dalla Consob arriveranno grosse novità, anche perché i consiglieri sarebbero spaccati. Probabile che si limiterà a suggerire alla compagnia di coinvolgere più attivamente i consiglieri indipendenti nel processo delle nomine.

E così Savona è costretto a tentennare, sebbene il suo sfogo social non sia giustificabile e né elegante, data la carica delicata che ricopre.

Il destino di Donnet e CDA sarà nelle mani degli altri azionisti, vale a dire i grossi fondi e i piccoli soci in possesso complessivamente di oltre il 57% del capitale. Nei giorni scorsi, dal board si sono dimessi nell’ordine Caltagirone, Romolo Bardin in rappresentanza di Del Vecchio e Sabrina Pucci per la Fondazione Crt. Oltre al gesto simbolico in sé, le dimissioni consentirebbero ai tre azionisti di riferimento di acquistare azioni Generali senza dichiararlo, salvo al raggiungimento delle soglie rilevanti. Nel caso specifico, lo shopping potrà avvenire senza comunicazioni ufficiali fino alla quota complessiva del 4%.

La “guerra” in Generali interessa il sistema Italia. La compagnia gestisce asset per circa 500 miliardi e detiene titoli di stato italiani per una sessantina di miliardi. I pattisti lamentano una crescita lenta sotto Donnet, sebbene nei suoi cinque anni e mezzo di gestione siano stati distribuiti 7 miliardi di euro in dividendi, di cui 4,5 miliardi nel triennio 2019-2021. Per il triennio 2022-2024, il CEO ha promesso altri 5,6 miliardi, un modo per ingraziarsi gli azionisti, molti dei quali avrebbero ben poche ragioni per cambiare cavallo. Peraltro, da quando il francese è al timone del Leone di Trieste, le azioni si sono apprezzate del 43%, pari a una maggiore capitalizzazione di quasi 9 miliardi.

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