Terza dose sì, terza dose no. L’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede agli stati più ricchi di attendere che almeno il 10% della popolazione residente in aree povere della Terra come l’Africa abbia fatto il vaccino contro il Covid prima di eventualmente rafforzare la risposta immunitaria. Il rischio percepito dall’ente è che la pandemia continui a dilagare anche per effetto dello scarso accesso al siero da parte del mondo povero.

Le varianti stanno mettendo in difficoltà i governi, i quali speravano che con l’avanzamento dei rispettivi piani vaccinali il numero dei contagi sarebbe diminuito costantemente, così come dei ricoveri e dei morti.

Fatto sta che se l’uomo comune piange tra restrizioni ancora in vigore e altre in arrivo, Big Pharma può festeggiare. Le case farmaceutiche produttrici dei sieri contro il Covid hanno tutte fatto il botto in borsa negli ultimi mesi, chi più e chi meno.

Dall’annuncio del successo della sperimentazione, le azioni Pfizer ha messo a segno un rialzo del 40%, accrescendo la capitalizzazione della società di 70 miliardi di dollari. Il colosso americano ha collaborato con la società di biotecnologie tedesca BioNTech, la quale è esplosa in borsa del 380% nello stesso frangente, arrivando a superare i 100 miliardi di dollari di capitalizzazione: quasi +80 miliardi. Il titolo è crollato di circa il 25% nella seduta di mercoledì, a causa del giudizio di sopravvalutazione espresso dagli analisti e da ulteriori effetti collaterali pubblicizzati dall’EMA con riferimento ai vaccini mRna.

Vaccino contro Covid e dilemma sui brevetti

Nulla a confronto del +400% messo a segno da Moderna, che ha aumentato il suo valore di quasi 150 miliardi fino a mercoledì, giorno in cui ha perso anch’essa circa un quarto del suo valore. Le case farmaceutiche che hanno approfittato meno del vaccino contro il Covid in borsa sono state, quindi, Johnson & Johnson (+16%) e AstraZeneca (+5%).

Ad ogni modo, il loro valore è salito di oltre 60 miliardi e 5 miliardi rispettivamente. Nel caso del colosso inglese, i guadagni sono stati frenati dalle vicissitudini che hanno riguardato i contratti siglati con la UE. Il resto lo ha fatto l’allarme scatenatosi tra la popolazione europea sui presunti effetti gravi provocati dal siero anglosvedese.

Tirando le somme, le case farmaceutiche produttrici dei principali sieri disponibili nel mondo contro il Covid hanno guadagnato in 9-10 mesi qualcosa come più di 360 miliardi di dollari in tutto. Al cambio attuale, oltre 310 miliardi di euro. Ma queste valutazioni risultano esposte al rischio di sospensione dei brevetti. La Germania si oppone in Europa, anche perché BioNTEch è una società tedesca. Se tutte le case farmaceutiche potessero produrre il siero e accedere alla relativa tecnologia utilizzata, gli utili crollerebbero.

D’altra parte, andiamoci piano con queste soluzioni romantiche. Se abbiamo avuto a disposizione diversi vaccini contro il Covid a distanza di pochi mesi dalla diffusione della pandemia, è grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo realizzati dai colossi farmaceutici. In futuro, potrebbero decidere di tagliare proprio questa voce di spesa nel caso in cui fiutassero il rischio di essere privati dei profitti loro spettanti dalla commercializzazione delle scoperte. E ciò esporrebbe il pianeta a rischi sanitari ben maggiori di quelli che cercheremmo di ridurre con la sospensione dei brevetti.

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