Fumata nera ieri sera al vertice del centro-destra a Palazzo Grazioli tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. I tre leader della coalizione non hanno saputo trovare la quadra sulla posizione unitaria da tenere oggi alle consultazioni “flash” al Quirinale, le ultime che il presidente Sergio Mattarella concederà ai partiti prima di decidere per conto suo il nuovo premier. Spiazzante la proposta di accordo del Movimento 5 Stelle, che per evitare di essere additato quale responsabile dello stallo e, soprattutto, dell’ennesimo grigio governo tecnico, ha inviato un chiaro messaggio alla Lega: passo indietro di Luigi Di Maio sulla premiership, in cambio di uno di Forza Italia, che sarebbe esclusa dal governo.

A guidarlo vi sarebbe una figura terza, che secondo i boatos potrebbe anche essere il leghista Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini e già proposto informalmente da Berlusconi come candidato premier per allargare l’alleanza in Parlamento. I grillini chiedono che l’esecutivo punti su tre temi che stanno loro a cuore: reddito di cittadinanza, legge Fornero e legge sulla corruzione.

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Salvini sarebbe favorevole all’intesa, ma Berlusconi non avrebbe alcuna intenzione di compiere quel passo di lato che gli viene chiesto. A questo punto, il primo pretende dall’ex premier l’assenza di sostegno a una soluzione come il governo del presidente, che la Lega, così come l’M5S, non ha alcuna idea di appoggiare. Da qui, lo scontro di ieri sera, che dovrebbe essere risolto stamattina da un nuovo incontro della coalizione.

Sfuma il governo di Mattarella

Il presidente Sergio Mattarella seguirà gli sviluppi con attenzione. Fino a ieri sembrava quasi certo lo schema che avrebbe proposto stasera, ossia quello di un governo istituzionale, che cercherebbe in Parlamento i voti per portare l’Italia ad elezioni anticipate, nel migliore dei casi tra un anno.

Tuttavia, non si capisce con quale maggioranza e, soprattutto, perché mai sarebbe accettabile una simile ipotesi al buio, quando viene negata a Salvini, che ha chiesto e, in assenza di un’intesa con i 5 Stelle, oggi chiederà formalmente di ricevere un pre-incarico, in modo che gli sia consentito di trovare i voti in Parlamento.

Se oggi Di Maio prima e il centro-destra dopo diranno a Mattarella che sarebbero pronti a un’intesa concreta per governare, magari anche senza Forza Italia coinvolta direttamente, il capo dello stato non potrà non prendere atto della novità e, a quel punto, dovrà verificare quale personalità come premier possa mettere d’accordo Lega e 5 Stelle. Come dicevamo, prenderebbe quota l’ipotesi Giorgetti, sintesi perfetta dell’alleanza tra le due formazioni vincitrici delle scorse elezioni, ma con un occhio benevolo verso i due grandi sconfitti, ossia l’alleato azzurro e PD. Non sarebbe escluso, infatti, che voti in suo sostegno arrivassero persino da qualcuno del Nazareno per “responsabilità”.

Serve, però, il passo indietro o di lato di Berlusconi. L’ex premier è al bivio come non mai: accettare l’umiliazione politica di essere stato tagliato fuori dal nuovo governo o contrastare quest’ultimo, ma rischiare di rimanere fuori dai giochi politici e subendo la nuova maggioranza. Se il primo scenario sarebbe per lui un colpo inferto alla sua immagine di leader sempre vincente e decisivo, il secondo rischierebbe di risultargli fatale sul piano degli interessi aziendali. Il nuovo esecutivo dovrà, infatti, nominare 350 tra amministratori di società a partecipazione statale (Cdp, ENI, Enel, Rai, etc.) e componenti di autorità di controllo da qui a un anno. Non toccare palla su questi dossier sarebbe esiziale per Forza Italia, che rischia una fuga di parlamentari verso la Lega, in quanto sarebbe quest’ultima ad occuparsi della “ciccia” politica.

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I rischi per le aziende di Berlusconi

Non solo. Dopo l’esito sfavorevole a Vivendi in TIM, il finanziere bretone Vincent Bolloré tenterà presumibilmente di puntare nuovamente su Mediaset per strappare il controllo a Fininvest, la holding della famiglia Berlusconi. L’operazione non sarebbe semplice, visto che la cassa dell’ex premier detiene quasi il 40% del capitale, il quale sommato alle azioni proprie arriva al 43%. Tuttavia, la scalata di fine 2016 ha evidenziato le potenzialità dei francesi e le debolezze di Cologno Monzese, per cui Berlusconi non potrebbe permettersi un premier ostile o sfuggente al suo potere “persuasivo”. Una cosa sarebbe sostenerlo dall’esterno, un’altra fargli opposizione. Nel secondo caso, a Palazzo Chigi non vi sarebbero più orecchie sensibili ai suoi interessi aziendali.

Obtorto collo, l’ex premier dovrà accettare un eventuale governo tra Salvini e Di Maio, qualora il primo si ostinasse oggi ad appoggiare l’ipotesi. Del resto, se Lega e 5 Stelle non sostenessero un governo del presidente, questo nascerebbe morto e le elezioni anticipate si terrebbero già persino dal prossimo 7 luglio, ultima data estiva credibile utile per votare. E Forza Italia rischierebbe grosso da un voto a breve, ovvero il suo leader si ritroverebbe tra pochi mesi ancor più indebolito sul piano dei rapporti di forza all’interno della coalizione, nonché svuotato di potere negoziale. E allora, un governo tra grillini e leghisti vi sarebbe totalmente a suo discapito. Oggi, Silvio dovrà scegliere il male minore.

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