Il vice-premier Luigi Di Maio lo ha definito “da miserabili” gli attacchi della sinistra contro l’ex ad di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, agonizzante in un letto di ospedale in Svizzera, rimarcando come si tratti delle stesse persone, che quando il manager italo-canadese era potente “gli hanno consentito di fare di tutto”. Forse in queste poche parole è contenuta la vera radice dell'”odio rosso” che scorre sui social, e non solo, in questi giorni. Se il governatore della Toscana, Enrico Rossi, ha voluto godersi i suoi 5 minuti di celebrità notando come Marchionne fosse residente in Svizzera per ragioni fiscali e abbia spostato la produzione negli USA, portando il numero degli occupati in Italia da 120.000 a 29.000, l’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, non è stato da meno sul piano del giudizio verso l’operato di un manager, che spiega avrebbe portato “il deserto a Mirafiori e la Fiat a Detroit”.

Perché Sergio Marchionne anche in fin di vita divide gli italiani 

Cosa si cela dietro a tanto risentimento verso Marchionne? Ieri, avevamo riflettuto sulla figura controversa dell’uomo, che ha avuto la “colpa” di ragionare da manager e non da connivente con il sistema politico-istituzionale italiano, sdegnandone la retorica e mai piegandosi ai diktat di sindacati e potentati locali o nazionali. Facciamo una doverosa premessa: il giudizio negativo verso la gestione della Fiat nell’era Marchionne è più che legittimo e per alcuni aspetti persino condivisibile, a seconda dei punti di vista. Il problema è un altro: si può attaccare anche sul piano umano una persona che lotta (senza speranze) contro la morte in questi giorni drammatici? Cosa c’è dietro all’odio sviscerato da parte di diversi esponenti della sinistra italiana?

Il mondo post-comunista ha sempre avuto l’esigenza di crearsi un nemico pubblico da attaccare e contro cui inveire per modellare la propria identità.

Che si chiamasse Bettino Craxi negli anni Ottanta, Silvio Berlusconi dal 1994 fino a poco tempo fa e oggi Matteo Salvini, il modus operandi è sempre stato lo stesso. Si prende di mira un personaggio, gli si appioppa l’origine di tutti i mali da Adamo ed Eva in poi e lo si distrugge umanamente e politicamente nel tentativo di ricamarci sopra carriere giornalistiche, pseudo-culturali, politiche e istituzionali. In un certo senso, anche la retorica anti-mafia da inizio anni Novanta ha avuto lo stesso obiettivo, ovvero di creare nell’immaginario pubblico un nemico sgradito trasversalmente contro cui intestarsi battaglie di parte, quasi ad additare gli altri di connivenza.

Perché l’odio rosso è una costante?

La domanda è perché? Quando si ha un’identità debole o quando tale identità, pur forte idealmente, non riesce ad esprimersi in azioni concrete, ovvero in un operato politico distintivo, monta la frustrazione tra la base e la stessa dirigenza. Se si sbandiera ai quattro venti una diversità ideologica e persino antropologica che non si traduce in alcunché di visibile all’occhio umano, allora significa che la sinistra in fondo non sarebbe altro che chiacchiere e distintivo. Da qui, la violenza verbale, finalizzata a tenere viva la speranza in chi ascolta di una specificità rispetto al nemico di volta in volta “fascista”, “razzista”, “corrotto”, “omofobo”, “capitalista”, “ultra-liberista”, e da ultimo “populista”, etc. In fondo, dietro a questi attacchi si cela la debolezza cronica di chi è consapevole che l’unico modo per continuare a giustificare la propria esistenza sarebbe di alzare la voce riesumando vecchi slogan sempiterni nei cuori dei militanti più ideologizzati.

Perché Salvini è diventato l’unico leader politico italiano e la sinistra ha rinunciato ad esistere

La sinistra che oggi attacca Marchionne in fin di vita, però, è la stessa che in campagna elettorale ha preso le distanze dall’ipotesi di rivedere la legge Fornero o che non è riuscita a fare quadrato attorno alla proposta di Pietro Grasso di esentare gli studenti dal pagamento delle tasse universitarie.

E’ la stessa sinistra che ha votato (“per disciplina di partito”, spiega) il Jobs Act, quel complesso delle norme che ha affievolito l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori tanto difeso nelle piazze, quando a volerlo modificare era il “nemico” berlusconiano. E sempre questa sinistra è il difensore più ferreo dei vincoli di bilancio pattuiti in Europa, nonché ormai della globalizzazione economica, che in fondo fa tanto chic nei salotti che è abituata a frequentare certamente più delle fabbriche. Parliamo di un’area politica, che si è fatta rappresentare mediaticamente per decenni da un Eugenio Scalfari, che qualche mese fa non ha trovato altre parole per attaccare la maggioranza penta-leghista, se non quelle di “plebe al governo”.

Attaccando disumanamente e miseramente un Marchionne non più potente, non più manager, non più simbolo di alcunché, bensì persona al termine della sua esperienza terrena, la sinistra italiana crede ingenuamente di riuscire a farsi perdonare l’ipocrisia di una distanza siderale tra i suoi proclami popolari e le sue azioni di governo. Come se inveire vilmente contro l’ex ad FCA possa fare dimenticare al suo elettorato di essere stati i più accaniti frequentatori degli ambienti del vetero-capitalismo tricolore. Come se a colpi di insulti ci volessero far credere di rappresentare le istanze dei ceti disagiati, facendoci dimenticare le barche, i salotti buoni, le amicizie quasi esclusivamente con quelli che contano, il tradimento delle idee ordito un secondo dopo essere entrati anche nel più inutile ministero senza portafoglio. E adesso che vacillano persino le regioni “rosse”, cadute in mano già in grossa parte al centro-destra a trazione leghista e al Movimento 5 Stelle, state certi che la politica degli insulti a sinistra diventerà una pietra miliare. Quale che sarà il giudizio a mente fredda che ciascuno di noi avrà su Marchionne, di lui ci rimarranno la forza, il coraggio delle idee e la capacità di avere visione del futuro.

Di questa sinistra solo l’oblio. In fondo, oggi è molto più agonizzante del povero manager, il quale almeno può contare in queste ore sugli affetti radunati al suo capezzale.

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