Alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018, Fratelli d’Italia ottenne i voti appena sufficienti per entrare alla Camera e la Lega staccò il partito di Giorgia Meloni di ben 13 punti percentuali, prendendo il 17,4%. Alle europee di appena 14 mesi fa, malgrado la crescita di entrambe le formazioni del centro-destra, le distanze tra le due si rafforzarono: Matteo Salvini volava al 34,3% e FDI saliva al 6,4%, quest’ultima restando indietro anche alla già collassata Forza Italia di Silvio Berlusconi. Da allora, però, la coalizione ha subito un vero terremoto al suo interno.

Oggi, i sondaggi segnalano un avvicinamento progressivo e apparentemente incessante tra Lega e FDI, con la prima ad avere perso almeno 7-8 punti quest’anno, in piena emergenza Covid-19, raccolti interamente dalla seconda.

L’ultima rilevazione di Nando Pagnoncelli realizzata per il Corriere della Sera assegna a FDI il 18% dei consensi, soltanto 5 punti in meno della Lega, a meno di 2 dal PD e di 1 dal Movimento 5 Stelle. In altre parole, se oggi si tenessero le elezioni politiche, la Meloni avrebbe grosse chances, dato il trend, di scavalcare l’alleato Salvini all’interno del centro-destra e, perché no, di arrivare prima tra tutti i partiti italiani. E se questo accadesse, nessuno potrebbe sbarrarle la strada per entrare a Palazzo Chigi, a meno che non disponesse dei numeri sufficienti in Parlamento per formare un governo. Diventerebbe la prima donna a fare il premier in Italia.

L’irresistibile ascesa di Giorgia Meloni e perché Matteo Salvini deve iniziare a tremare

Il successo di FDI è la sommatoria di vari fattori. Vi contribuisce certamente il tramonto di Forza Italia, pur in apparente ripresa negli ultimi mesi. L’elettorato più sfegatatamente “berlusconiano” si assottiglia di elezione in elezione, fiutando la fine della storica leadership. Non aiuta di certo l’opposizione incolore degli “azzurri” al governo Conte, un modo per tenere i piedi in due staffe e che non ha mai riscosso successo nel centro-destra.

Secondariamente, la Meloni risulta più credibile di Salvini per il semplice fatto che critichi un premier e il suo principale partito che lo sorregge – l’M5S – con cui non è mai stata alleata. Il leghista oggi avversa una formazione con cui fino a un anno fa sosteneva che avrebbe governato per l’intera legislatura.

Il fattore Europa e USA

Terzo, i toni della Meloni sono meno ispidi e più “moderati”. Nessun dubbio sulla posizione di assoluta alternativa a questo governo “giallo-rosso”, ma le critiche di FDI appaiono all’elettorato italiano, non necessariamente solo di centro-destra, più ragionate, meno urlate e, soprattutto, meno propagandistiche. E questi elementi hanno a lungo rappresentato fattori di debolezza relativa per il partito, la cui crescita negli anni è stata assai più lenta della Lega per il semplice fatto che è sembrato seguire molto meno le tendenze social, evitando di cavalcare temi passeggeri e altamente divisivi, come l’uscita dall’euro. Non meno importante sta risultando la maggiore compostezza della donna, che fa da contraltare all’immagine di “Mister Papeete” che gli avversari hanno appiccicato addosso all’ex ministro dell’Interno.

Un altro punto di forza della Meloni risiede nel carattere nazionale “ab origine” di FDI, già dal nome una garanzia in tal senso. La Lega di Salvini c’entra ormai molto poco con quella del “senatur” Umberto Bossi, ma al sud incontra ancora molte resistenze tra chi la avversa e non le perdona la natura nordista delle origini. Sotto la Toscana, insomma, votare per Giorgia risulta più facile che farlo per Matteo, anche nel segreto dell’urna. E chi un giorno dovesse tra i due entrare a Palazzo Chigi dovrebbe senz’altro beneficiare almeno dell’accettazione lungo tutto lo Stivale, altrimenti il clima di scontro si surriscalderebbe eccessivamente in una Nazione, dove già l’odio tra le parti e le divisioni post-Covid che s’intravedono appaiono sin troppi.

Infine, gli esteri. La Meloni ha trovato ultimamente sponda nei Repubblicani di Donald Trump, mentre le porte a Salvini sembrano essergli state chiuse per la sua ostentata (fino a poco tempo fa) vicinanza alla Russia di Vladimir Putin. Quanto all’Europa, entrambi sono considerati “sovranisti”, ma se questo termine ha realmente un senso, diremmo che la Meloni sia una conservatrice vecchio stampo, autentica, militando a Bruxelles nel gruppo ECR, quello di centro-destra d’impronta liberale, spesso affine al PPE, anzi è nato proprio dalla sua scissione a destra per tutelarne i valori fondanti del popolarismo cristiano. Viceversa, Salvini sta ufficialmente ancora con la destra euro-scettica di Marine Le Pen, vista come fumo negli occhi delle istituzioni UE.

Gli Eurobond dividono Meloni da Salvini e sarebbero la fine della sovranità italiana

Sorpasso vicino?

Cosa serve a Giorgia Meloni per succedere a Giuseppe Conte? Beh, nuove elezioni, ça va sans dire, ma anche un ulteriore scatto in avanti nei consensi. Quel 20%, insperato fino a poco tempo fa, sarebbe alla portata e andrebbe non solo raggiunto, bensì superato per salire in testa a tutti e iniziare a distribuire le carte nello stesso centro-destra, dove per il momento l’azionista di maggioranza resta il leghista. La diversità di posizioni sui rapporti con l’esecutivo (si veda il dibattito attorno al “Recovery Fund”) sta lanciando la leader romana verso una prospettiva di crescente istituzionalizzazione del suo partito, nel senso che adesso anche FDI inizia ad essere preso seriamente in un ipotetico scenario di caduta del governo Conte, sebbene i suoi parlamentari numericamente restino nettamente minoritari.

Gli errori commessi in questi quasi due anni e mezzo di legislatura dalla Lega serviranno da lezione alla Meloni. Anziché circondarsi di improbabili economisti “no euro” in stile Bagnai e Borghi, dovrà rafforzare le prime file con personaggi che vengano percepiti all’altezza della gravissima eredità che chiunque si ritroverà a gestire dopo questo maledetto 2020.

Serietà e competenza dovranno essere stelle polari per l’ex ministro per le Politiche giovanili, così da attirare a sé i residui voti dei centristi della coalizione, nonché quelli dei frastornati della Lega. Il travaso perfetto di consensi tra i due partiti ci suggerisce che per superare l’alleato, a Giorgia manchino non 5 punti, bensì 3. E di questo passo, attraverso lo specchietto retrovisore Matteo vedrà forse già a fine estate l’alleata mettere la freccia per il sorpasso.

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