Quando alle ore 18.00 di ieri sera le reti televisive e i giornali in Germania pubblicavano le prime proiezioni delle elezioni federali, un senso di shock ha attraversato il sistema politico tedesco. La direzione dei dati era attesa, le dimensioni no. La cancelliera Angela Merkel ottiene il quarto mandato, ma la sua CDU-CSU crolla dal 41,5% a poco sopra il 33% dei consensi, incassando il peggiore risultato dal 1949. Peggio è andata agli attuali partner di governo nella Grosse Koalition, i socialdemocratici della SPD, che scendendo sotto il 21% registrano il peggiore risultato di sempre.

Trionfano al terzo posto con circa il 13% gli euro-scettici dell’AfD, seguiti dai liberali della FDP, che con il 10,5% circa più che raddoppiano i voti di 4 anni fa, tornando al Bundestag. Bene anche Verdi e post-comunisti della Linke, che con il 9% a testa guadagnano qualche decimale rispetto al 2013. Tirando le somme, la maggioranza uscente subisce un ridimensionamento drastico, passando da un totale di oltre il 67% dei voti del 2013 a meno del 54%. (Leggi anche: Elezioni in Germania, ecco perché la politica tedesca si sposterà a destra)

Che si sia trattato di uno shock, lo segnalano le stesse reazioni dei leader di partito. Tra i primi a parlare è Martin Schulz, che non solo riconosce la sconfitta (“giorno amaro per i socialdemocratici”), ma annuncia che l’SPD andrà all’opposizione e che ne resterà segretario. Quasi negli stessi minuti, il leader dell’AfD, Alexander Gauland, tuona contro gli schieramenti tradizionali: “Ci riprendiamo la nostra terra e il nostro popolo. Li cacceremo”. A seguire una cancelliera dal volto scuro, costretta a dichiarare dinnanzi ai propri sostenitori che avrebbe preferito “un risultato leggermente migliore”, ma al contempo rassicurando: “non sarà possibile alcun governo contro di noi”. Soddisfatti sinistra radicale e ambientalisti, con questi ultimi ad aprire all’ipotesi di una coalizione di governo con Frau Merkel.

E il liberale Christian Lindner non si sbottona, limitandosi a un “Danke” ai suoi sostenitori.

Vittoria amara e poco gestibile per la cancelliera

elezioni-germaniaAldilà dei commenti, i numeri sono più amari che mai per la cancelliera: non potrà confidare più sul sostegno dei socialdemocratici, i quali si vedono quasi obbligati a passare all’opposizione, vuoi perché puniti dalla loro base per l’appoggio ormai quasi cronico dato negli ultimi anni ai governi conservatori, vuoi anche per non lasciare il monopolio della lotta all’esecutivo alla destra dell’AfD. E anche se i due schieramenti si mettessero insieme, la maggioranza sarebbe risicata, pari a 351 seggi su un totale di 631. (Leggi anche: Una colata di acciaio rischia di travolgere la sinistra al governo in Germania)

E così, la Merkel dovrà aprire a un esperimento inedito per la politica tedesca: una coalizione federale a 3 con liberali e Verdi. Se i primi sono partner naturali dei conservatori, i secondi rappresentano una formazione culturalmente di centro-sinistra e con programmi poco compatibili con quelli dell’ala più a destra dell’Unione cristiano-democratica da un lato e liberali dall’altro, specie su tasse, deregulation e politica energetica. L’FDP di Lindner è un partito pro-business e un paio di settimane fa aveva definito “fantasia” l’ipotesi di una maggioranza insieme agli ambientalisti e i conservatori.

Essendo esclusa ogni possibilità di coalizione con l’AfD, lo scenario “Jamaica” (per via dei colori dei 3 partiti, uguali a quelli della bandiera dello stato americano) si fa concreto e per niente facile da digerire per tutte le parti in causa. Ammesso che la cancelliera sarà in grado di dare vita a un esecutivo a 3 (si attendono trattative lunghe), esso nascerà fragile numericamente e ancora di più politicamente, prestando il fianco alle critiche di destra e sinistra e ai potenziali numerosi mugugni tra i banchi della maggioranza.

Le conseguenze del voto tedesco in Europa

Il quotidiano economico Handelsblatt, giocando con le lettere, ha definito la vittoria degli euro-scettici dell’AfD (Alternativa per la Germania) una “Aufstand” (“rivolta”) per la Germania in cabina elettorale. Già, ma contro cosa? A sentire gli analisti in patria e all’estero, non sembra difficile capirlo. Qui, non c’è certo aria di insoddisfazione per lo stato di salute dell’economia, che versa nelle migliori condizioni dalla caduta del Muro. La Merkel è stata punita essenzialmente per due ragioni: la sua politica dell’accoglienza illimitata del 2015-2016, quando mezzo milione di profughi fu fatto entrare in Germania in poche settimane, nonché per la scarsa riconoscibilità del suo centro-destra, che governando piuttosto stabilmente ormai con il principale partito di centro-sinistra, è finito per imitarlo. Si vedano l’introduzione del salario minimo e delle nozze gay.

Se questo è vero, dal voto ne esce rafforzata l’ala destra dei conservatori, specie i conservatori bavaresi della CSU, che da sempre esprimono posizioni critiche verso lo spostamento a sinistra dell’asse programmatico della coalizione. Si tratta di una pessima notizia per il presidente francese Emmanuel Macron, che da queste elezioni si aspettava una sorta di benedizione per le sue proposte di riforma della UE, tra cui il ministro delle Finanze unico e un bilancio comune nell’Eurozona. Se non sono già morte, possiamo considerarle moribonde, perché gli stessi liberali, con cui i conservatori saranno costretti a governare, si dicono contrarissimi alla sola ipotesi. E difficilmente cederanno sui punti-chiave del loro programma, volendo evitare il rischio di uscire nuovamente fuori dal Bundestag, ora che ci è entrata per la prima volta dal Secondo Dopoguerra una formazione di destra, che strumentalmente gli altri schieramenti definiscono “nazista”, ma i cui proclami non sono così differenti di quelli dell’FDP, se non nei toni euro-scettici.

E il voto tedesco ha inevitabili conseguenze anche sul resto d’Europa. In primis, perché da oggi la sua leadership, gestita sapientemente dalla Merkel sin dallo scoppio della crisi finanziaria, appare indebolita e il futuro politico stesso in Germania abbastanza incerto.

Davvero la cancelliera riuscirà a portare a termine il mandato quadriennale o getterà la spugna prima, magari tra un paio di anni? Secondariamente, la “rivolta” in cabina di cui parlano i giornali tedeschi boccia la lunga fase di larghe intese destra-sinistra, che avrebbe finito per svuotare i due principali schieramenti di valori e identità, regalando milioni di voti ai partiti “anti-establishment”. Con una battuta, diremmo che le probabilità di un governo PD-Forza Italia dall’anno prossimo si sono notevolmente ridotte, perché da ieri sera da Berlino soffia un vento molto diverso, la cui direzione appare abbastanza difficile da scrutare. L’unica apparente certezza è la fine della politica tedesca di appeasement verso gli alleati europei. Dai conti pubblici alla Grecia, dalla BCE all’immigrazione, la posizione della Merkel non sarà più così accomodante come negli ultimi anni. E dire che mezza Europa la considerava già dura. (Leggi anche: Patto Merkel-Macro sull’euro? Draghi ci spera, mezza Germania no)