“Dategli le brioches”, avrebbe risposto la regina Maria Antonietta alla fine del diciottesimo secolo a chi le fece notare che il popolo non avesse più pane. E proprio le brioches stanno diventando sempre più difficili da sfornare in Francia, a seguito di quella che la stampa transalpina ha definito “la peggiore crisi del burro” dal Secondo Dopoguerra. Stando a un monitoraggio condotto tra le grandi catene di supermercati nel paese, la carenza di uno dei prodotti simbolo della cucina francese sarebbe stimabile in almeno il 30%, ma con punte finanche del 46%.

In sostanza, almeno un consumatore su tre non troverebbe il burro richiesto sugli scaffali, che risultano tristemente semi-vuoti, ricordando, per fortuna alla lontana, la crisi drammatica che da anni vive il Venezuela di Nicolas Maduro. (Leggi anche: Olio di palma, prezzi giù e il burro vola)

Che cosa sta accadendo? I prezzi del burro sul mercato internazionale sono esplosi: +45% su base annua e ad agosto si è toccato il +60%, quando un chilo di burro è arrivato a costare 6,70 euro. Come mai? Un insieme di fattori. Se i consumi salgono, trainati sul piano mondiale dalla Cina, l’offerta è da mesi in calo. La Nuova Zelanda ha esportato l’11% in meno di prodotti caseari nei primi otto mesi dell’anno, a causa di condizioni avverse del meteo che hanno ridotto il mangime a disposizione per gli allevamenti. In Europa, dopo l’addio alle quote latte di due anni fa, si è registrata una corsa alla produzione, la quale ha provocato una caduta dei prezzi dei prodotti caseari, con la conseguente drastica riduzione dell’offerta in un secondo tempo.

Ora, direte quale sia il problema in Francia, di fatto unico paese in cui si segnali una carenza di burro. Partiamo da una premessa: il prodotto è qui come l’olio di oliva o il pomodoro in Italia, ovvero un ingrediente fondamentale per cucinare alcune prelibatezze nazionali, nel caso specifico dalle torte ai croissants.

Per questo, i supermercati difficilmente reagiscono nel breve termine a una lievitazione dei costi scaricandoli sui prezzi finali, cercando così di mantenere la clientela, non contrariandola con aumenti per un prodotto tipico. Inoltre, i supermercati siglano contratti con i produttori locali a cadenza annuale e a ogni mese di febbraio, per cui ancora continuano a pagare i secondi ai prezzi vigenti sui mercati 8 mesi fa, quando erano almeno un terzo più bassi dei livelli attuali. (Leggi anche: Zucchero come quote latte?)

Esportare meglio che vendere ai francesi

In conseguenza di tutto ciò, i produttori francesi preferiscono esportare il burro, potendo incassare prezzi di gran lunga più elevati di quelli che altrimenti verrebbero loro pagati dai rivenditori nazionali. Mancano ancora quattro mesi per il rinnovo dei contratti e proprio la prospettiva di un lungo periodo ancora con scarso burro sugli scaffali starebbe spingendo i consumatori a fare scorte del bene, ma con ciò aggravando la situazione (cosiddetto “panic buying”). Non è escluso che in scia alle preoccupazioni, le catene di supermercati in Francia decidano di rinegoziare in anticipo tali accordi, alzando i prezzi, ma adeguando l’offerta alle richieste dei clienti.

La Francia è il mercato con i maggiori consumi pro-capite al mondo di burro. Il tema sta diventando caldo anche sul piano politico, dato che il presidente Emmanuel Macron, il cui governo respinge la narrazione di un’acuta carenza del prodotto, sta cercando di mantenere fede alla promessa di sostenere i produttori, chiedendo alle parti di giungere a una rinegoziazione degli accordi, rimediando alla rigidità del mercato. E, però, quando e se accadesse, i prezzi sugli scaffali saliranno e l’Eliseo verrebbe percepito quale responsabile di una conclusione inevitabile e frutto solamente delle forze di un mercato libero.