Gli ultimi dati sul PMI composito segnalano per l’Eurozona un rialzo dai 49,3 punti di dicembre ai 50,2 di gennaio. Per la prima volta dal mese di giugno, l’attività economica nell’area sta salendo. Dati sotto 50 indicano una contrazione dell’attività, sopra un’espansione. Miglioramenti anche in Germania, dove la stima flash di S&P parla di una crescita da 49 a 49,7 punti. Al contrario, flette leggermente in Francia da 49,1 a 49 punti. Nel frattempo, il governo tedesco ha rivisto le stime ufficiali sul PIL in Germania per quest’anno da -0,4% a +0,2%.

Le ha contestualmente abbassate per il 2024 da +2,3% a +1,8%. Nel 2022, è cresciuto dell’1,9%. L’economia tedesca scamperebbe così alla recessione dopo la sorpresa positiva nell’ultimo trimestre dello scorso anno, quando è rimasta stagnante, anziché retrocedere come da previsione.

In Italia gli indicatori sono andati peggiorando negli ultimi mesi. La crisi dell’energia morde particolarmente la nostra economia. L’inflazione è scesa di poco all’11,6% nel mese di dicembre. Il picco era stato toccato ad ottobre e novembre all’11,8%. La discesa rischia di essere più lenta di quanto auspicato anche in questa prima parte del 2023. Giungono, tuttavia, buone notizie sul fronte gas. Prezzi ai minimi dall’autunno del 2021 alla borsa olandese e cambio euro-dollaro più favorevole per le importazioni delle altre materie prime.

La struttura produttiva del Nord-Est, in particolare, è legata a quella tedesca. Se la Germania evita la recessione, ci sono buone probabilità che lo stesso faccia l’Italia. Una discesa dell’inflazione marcata e costante nei primi mesi di quest’anno nell’Area Euro spingerebbe la Banca Centrale Europea (BCE) ad una maggiore prudenza nell’aumentare i tassi d’interesse. In pratica, la conclusione della stretta monetaria sarebbe non lontana. Questo offrirebbe ulteriore sostegno alla crescita del PIL, contenendo gli effetti negativi su investimenti e consumi. Benefici anche per i conti pubblici, ovvio.

Senza recessione a rischio disinflazione

Ma la precondizione consiste per l’appunto nella discesa dell’inflazione. C’è da dire che uno scenario più favorevole per l’economia europea sarebbe di per sé tendenzialmente inflattivo. Il solo spettro della recessione ha contribuito non poco nelle ultime settimane a ridurre le quotazioni di gas e petrolio sui mercati internazionali. Ora che s’inizia a intravedere la possibilità di una minima crescita, ma pur sempre crescita, il quadro può mutare. Ecco perché la BCE non può demordere proprio adesso, anzi è costretta ad enfatizzare la sua retorica sui tassi. Essa serve sia per rafforzare l’euro e sia per generare aspettative depressive sui prezzi delle “commodities”. Tutto ciò accelererebbe il processo di disinflazione nell’area.

Conseguenza naturale della non recessione sarebbe la fine dei sostegni pubblici a famiglie e imprese contro il carovita. Gli aiuti dei governi europei sono stati previsti fino a marzo. Se per allora i prezzi di luce e gas saranno rientrati, pur restando superiori alla media storica pre-crisi, molte sovvenzioni dovranno essere ritirate. Ciò andrebbe chiaramente a beneficio dei bilanci statali, ma allo stesso tempo richiederebbe qualche sacrificio in più a molti cittadini e imprese. E ciò porterebbe ad una frenata dei consumi. Insomma, fare previsioni a gennaio su cosa potrà accadere nei restanti undici mesi dell’anno appare un azzardo. Le variabili in gioco sono tante in un contesto ancora troppo mutevole. La guerra tra Russia e Ucraina è tutt’altro che finita e dal 5 febbraio scatta l’embargo europeo sui prodotti petroliferi russi. Si fa presto a parlare di inflazione alle spalle.

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