L’annuncio risale ai giorni scorsi ed è stato reso dal ministro per il Made in Italy (ex Mise), Adolfo Urso: l’Italia avrà il suo fondo sovrano. Un’idea sposata anche dal collega all’Economia, Giancarlo Giorgetti, secondo cui serve che lo stato italiano sostenga l’imprenditoria con un approccio “proattivo”. La legge che istituirebbe la nuova istituzione dovrebbe essere votata dal Parlamento entro l’anno. Secondo indiscrezioni, la dotazione iniziale sarebbe nell’ordine dei 500 milioni di euro. Denaro che il governo investirebbe per finanziare produzioni strategiche.

L’obiettivo è chiaro: sganciare l’economia italiana dalla dipendenza “strategica” di altri paesi. In assenza di un fondo sovrano europeo invocato da Roma – sul punto si sono registrate aperture della Commissione – ogni nazione deve fare da sé. E giorni prima di Roma, Parigi aveva comunicato un’idea molto simile.

Da dove arriverebbero le risorse?

Dunque, presto l’Italia avrà un fondo sovrano al pari di paesi come Arabia Saudita e Norvegia? Sarebbe un fatto assai interessante, ma altrettanto improbabile. I fondi sovrani sono entità che gestiscono asset per conto dei rispettivi governi. Sono alimentati da entrate “in eccesso” rispetto alle esigenze fiscali ordinarie. E non è un caso che ad esserne dotati siano perlopiù paesi esportatori di petrolio. I ricavi derivanti dalla vendita di greggio sono parzialmente accantonati e trasferiti in capo a questi fondi, i quali li investono sui mercati finanziari secondo criteri fissati per statuto.

L’Italia non estrae petrolio. Formalmente, ciò non le vieta di creare un fondo sovrano. Lo sta facendo l’Irlanda, anch’essa sprovvista di idrocarburi. Solo che Dublino chiude i bilanci in attivo ed entro il 2026 stima di registrare avanzi per 65 miliardi. L’Italia non solo ha bilanci in deficit, ma anche un grave problema di credibilità del proprio debito pubblico. Se sottraesse gettito fiscale da destinare alla copertura degli impegni di spesa annuali, la sostenibilità del nostro debito si ridurrebbe ulteriormente.

Se ipotizzassimo entrate extra, magari in conseguenza di una crescita economica superiore alle attese, dovremmo centellinare ogni euro in più incassato per ridurre almeno l’entità dei nuovi debiti.

Dunque, l’idea del fondo sovrano che investe a favore della nostra economia resta affascinante, ma non realizzabile. L’ipotesi che circola in questi giorni sarebbe che il governo Meloni attinga al risparmio postale per trovare le risorse. Tuttavia, trattasi di debito pubblico in altra forma e, soprattutto, queste risorse già oggi sono impiegate da Cassa depositi e prestiti (CDP) per finanziare iniziative di politica industriale. Questo significa anche che l’eventuale destinazione del risparmio postale al fondo sovrano andrebbe a discapito delle attività ordinarie della CDP o aumenterebbe le dimensioni del debito pubblico. Non sembra che il governo abbia intenzione di fare l’una o l’altra cosa.

Fondo sovrano buona idea, realizzarla sarà difficilissimo

Siamo dinnanzi a una boutade? In verità, la politica trasversalmente in Italia e nel resto d’Europa avverte la crescente esigenza di creare veicoli d’investimento destinati a sostenere le rispettive economie. Ci sarebbe un modo per farlo, vale a dire l’istituzione di un fondo sovrano che raccolga capitali sui mercati come un qualsiasi soggetto finanziario privato e che successivamente investa in attività produttive o anch’esse di natura finanziaria. Ma ciò presuppone che lo stato metta in concorrenza il fondo sovrano con il Tesoro, quest’ultimo costretto quotidianamente a rifinanziare il debito pubblico sui mercati. Agli occhi del cittadino, quale sarebbe la differenza tra titoli di stato e investimenti nel fondo sovrano? E non ci sarebbe il rischio di aumentare i tassi d’interessi dei BTp, finendo per peggiorare le condizioni fiscali?

Non è un caso che di fondo sovrano si parli in Italia da oltre un decennio, con tanto di iniziative legislative in tal senso, ma senza esito concreto.

Manca la materia prima: gli sghei. Avrebbe una qualche possibilità di riuscita nel caso in cui vincolassimo parte dell’extra-gettito fiscale annuo agli investimenti. Se questi rendessero più dei titoli di stato, al netto registreremmo un calo del debito pubblico. A fronte di una sua crescita lorda per via delle minori entrate, la crescita di valore degli attivi patrimoniali dello stato risulterebbe superiore. Ma sono iniziative da studiare bene per evitarne il flop o, peggio, l’effetto boomerang.

[email protected]