Il centro-destra si concentra sul programma e rilancia un tormentone della precedente campagna elettorale: la flat tax. Entro i primi cento giorni, promette l’ex premier Silvio Berlusconi, la riforma fiscale sarà fatta. In cosa consisterebbe? Tendere gradualmente ad un’unica aliquota IRPEF. La Lega la vorrebbe al 15%, Forza Italia al 23%, mentre Fratelli d’Italia si limita per il momento a promettere la flat tax solo sui maggiori redditi dichiarati e lancia un sistema fiscale a tre aliquote: 23% fino a 15.000 euro, 27% da 15.001 a 50.000 euro e 43% sopra 50.000 euro.

Al di là delle differenze tecniche, che rimangono sostanziose tra l’uno e l’altro partito della coalizione, diversi analisti e avversari politici notano come questa proposta sia contraria alla Costituzione. L’art.53 della nostra Carta recita così:

Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Flat tax perfettamente costituzionale

Stando alla previsione letterale dell’articolo, la flat tax risulterebbe incostituzionale proprio in quanto non progressiva. Ma c’è da premettere che la Costituzione non indica nello specifico quale imposta debba essere necessariamente progressiva. In effetti, solamente l’IRPEF può definirsi realmente tale. Ma nessuno ad oggi ha messo in dubbio la costituzionalità dell’IRES o vecchia IRPEG, così come dell’IVA o dell’IMU.

Se ci fate caso, per molti anni abbiamo versato al Fisco l’ICI-IMU sulla prima casa indipendentemente dal reddito e solo sulla base dei valori catastali. Cosicché è stato possibile che un ricco si sia ritrovato a pagare meno di un povero. In difesa della flat tax c’è di più. Come giustamente osserva l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, la progressività può essere resa anche attraverso il sistema di deduzioni e detrazioni fiscali.

Aliquota effettiva crescente col reddito

Ad esempio, la proposta di Forza Italia prevede una deduzione fino a 12.000 euro di reddito.

Sotto tale soglia, il contribuente non verserebbe nulla allo stato. Immaginando un’aliquota unica del 23%, avremmo che un contribuente che dichiari un reddito di 15.000 pagherebbe appena 690 euro, cioè il 23% sui 3.000 euro di reddito sopra 12.000 euro. Un contribuente che dichiari 50.000 euro, pagherebbe 8.740 euro. Nel primo caso, l’aliquota effettiva (rapporto tra imposta versata e reddito dichiarato) sarà stata del 4,6%, nel secondo del 17,48%. La progressività sarebbe preservata.

E ancora: avete presente la giungla di detrazioni d’imposta (“tax expenditures”) riconosciute con l’attuale sistema? La Corte dei Conti lamenta da anni che sottraggano molta base imponibile e gettito allo stato, favorendo i percettori di redditi alti, cioè coloro che potranno effettivamente scaricare determinate spese dalle tasse. Ebbene, al fine di mantenere una certa progressività fiscale con la flat tax, il governo potrebbe limitare tali detrazioni fino a un certo livello di reddito. In questo modo, l’aliquota effettiva che il contribuente pagherà sarà ancora inferiore sotto certe soglie reddituali. Insomma, il problema della riforma non è certamente formale.

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