La notizia di questi giorni è che Mark Zuckerberg ha annunciato 11.000 licenziamenti. Praticamente, un lavoratore su sette in Meta (ex Facebook) resterà a casa. Qualche giorno prima, era stato Elon Musk ad annunciare che circa la metà dei dipendenti Twitter sarebbe stata licenziata, cioè 3.700 lavoratori a spasso. Nei giorni successivi, però, alcuni di questi sono stati reintegrati per via del loro profilo essenziale nella prosecuzione delle attività aziendali. Sta di fatto che i social non se la passano bene. Le azioni Meta quest’anno perdono in borsa il 70%.

Un destino simile sarebbe probabilmente spettato alle azioni Twitter se non fosse stato per la scalata di Musk, che ha offerto la cifra monstre di 44 miliardi di dollari per prendersi la società.

Ha fatto infuriare gli utenti del social di microblogging l’iniziativa del nuovo proprietario di Twitter di offrire d’ora in avanti la spunta blu per 8 dollari al mese. Chi pagherà questa somma, avrà diritto alla certificazione dell’account, a risposte prioritarie nell’invio del tweet e al dimezzamento della pubblicità visualizzata.

Modello di business non tira più

Piaccia o meno, Musk ha chiarito come stanno le cose: Twitter non fa utili, anzi è in perdita. Bisognerà risollevare il fatturato e abbattere i costi. Per Meta la situazione è diversa, ma anche il social di Zuckerberg ha un problema: è eccessivamente dipendente dalla pubblicità, che a sua volta dipende dalla congiuntura dell’economia. Tradotto: l’era dei social gratis potrebbe volgere al termine.

Da circa un quindicennio, cioè da quando Facebook ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo, ci siamo convinti che i social fossero quasi un diritto inalienabile dell’uomo. Hanno dato visibilità a chi non ne aveva, creato una miriade di opportunità di lavoro e ampliato le potenzialità del business. Senza i social, la figura dell’influencer non esisterebbe.

Tutto ciò è avvenuto gratis.

A parte il costo della connessione a internet, nessun utente ha dovuto spendere un centesimo per stare sui social. Tanta gratuità è sempre stata sospetta. A parte la pubblicità, essa deriva anche dalla vendita dei dati personali a società terze. In altre parole, con i social gratis ad essere messo in vendita sei tu. Miliardi di informazioni sensibili su abitudini di consumo, spostamenti, lavoro, famiglia, preferenze politiche e persino sessuali, ecc.

Verso social con servizi a pagamento

Ma ormai tutto ciò non basta. I social sono diventati colossi e per reggersi in piedi devono fatturare di più. Il punto è che se iniziassero a richiedere agli utenti anche solo qualche dollaro all’anno, il numero delle iscrizioni crollerebbe in un secondo. Dunque, passare da un social tutto gratis a un social a pagamento non sarebbe né facile e né repentino. E’ probabile che, almeno nella fase iniziale, saranno offerti servizi a pagamento esclusivi. In pratica, gli utenti saranno discriminati tra la massa di chi beneficia di servizi gratuiti e una nicchia che paga per servizi premium.

Questi ultimi potrebbero avere ad oggetto una maggiore operatività: post, video, commenti e altre interazioni illimitati, ecc. E non è detto che la fine dei social gratis sia un male. Essi hanno ampliato il mercato dell’informazione, facendovi entrare numerosi soggetti nuovi, i quali altrimenti non avrebbero mai potuto competere con i colossi tradizionali dei media. Ma con il tempo, la quantità è andata a discapito della qualità. Sensazionalismo e fake news la fanno spesso da padroni. Manca un filtro per discernere tra informazione seria e competente e non. E se ci fosse, rischierebbe di trascendere nella censura.

E se il filtro arrivasse dal mercato? Come? Social a pagamento, dove l’utente ha più probabilità di leggere contenuti di qualità. Chi paga, infatti, appartiene generalmente a una fascia di utenza più istruita e capace di fiutare la notizia vera da una fake.

In generale, i social a pagamento allenterebbero il legame tra utenti e pubblicità diretta. Un po’ come quando ti abboni a Netflix o a Sky. Non sarà più tutto gratis per tutti, ma servirà verosimilmente una fase di transizione per abituare gli utenti al nuovo modello di business.

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