Anche questa settimana, alcune tra le principali banche centrali del pianeta hanno continuato ad alzare i tassi d’interesse. La Federal Reserve ha aperto le danze mercoledì con l’annuncio di un altro aumento dello 0,25% al 5%. A seguire, la Banca Nazionale Svizzera con un +0,50% all’1,50%, Norges Bank con un +0,25% al 3% e Banca d’Inghilterra con +0,25% al 4,25%. La settimana passata era stata la Banca Centrale Europea a sorprendere con un rialzo dei tassi dello 0,50% al 3,50%, il doppio delle previsioni dopo le turbolenze finanziarie legate alla crisi delle banche e, in particolare, al caso Credit Suisse.

Tutta questa sfilza di numeri ci fornisce un quadro abbastanza chiaro sulla fine dell’era del “denaro facile”, per usare un’espressione di recente adottata anche da Larry Fink, CEO di BlackRock, primo fondo obbligazionario del mondo per asset gestiti.

Fink si riferiva alle conseguenze della fine di questa lunga era, caratterizzata da prezzi in continua ascesa per azioni e obbligazioni. E il denaro facile è finito con il comprimere in maniera artificiosa i costi del debito, generando dipendenza presso stati e aziende, nonché spingendo la finanza a caccia di redditività ad addossarsi rischi eccessivi investendo in titoli poco sicuri e/o a lunghissima durata. La serie dei rialzi dei tassi nell’ultimo anno o anno e mezzo al massimo è stata impressionante. Di seguito, un elenco delle principali banche centrali del pianeta:

  • Norvegia: da 0 a 3% (+3%)
  • Svezia: da 0 a 3% (+3%)
  • Svizzera: da -0,75% a 1,5% (+2,25%)
  • Eurozona: da 0% a 3,50% (+3,5%)
  • USA: da 0,25% a 5% (+4,75%)
  • Canada: da 0,25% a 4,5% (+4,25%)
  • Australia: da 0,25% a 3,6% (+3,35%)
  • Nuova Zelanda: da 0,25% al 4,75% (+4,5%)
  • UK: da 0,25% a 4,25% (+4%)
  • Danimarca: da -0,6% a 3,6% (+4,2%)
  • Sud Corea: da 1% a 3,5% (+2,5%)

Fine dell’illusione sul denaro facile

Come possiamo notare, la cosiddetta “anglosfera” guida la classifica dei rialzi monopolizzando il podio. Gli Stati Uniti hanno visto salire il costo del denaro del 4,75% in appena un anno, seguiti a breve distanza dalla piccola Nuova Zelanda a +4,5% e dal vicino Canada a +4,25%.

L’altra grande banca centrale del pianeta, la BCE, i tassi li ha alzati del 3,5%, ma in meno tempo: appena otto mesi. Gli incrementi minori sono avvenuti nella Svizzera con il +2,25%. Del resto, l’inflazione elvetica non ha mai superato il 3,5% contro la doppia cifra superata nella circostante Area Euro.

Se consideriamo che attualmente i livelli d’inflazione siano ovunque più alti dei tassi d’interesse fissati dalle banche centrali, verrebbe da dire che l’era del denaro facile sia ancora con noi. In parte è così, come segnalano i bilanci ipertrofici degli istituti stessi. D’altro canto, le aspettative d’inflazione per il medio-lungo termine sono contenute e intorno ai rispettivi target, per cui in prospettiva i tassi d’interesse reali risulterebbero nettamente positivi. E ciò sta colpendo i valori degli asset finanziari, depressi proprio dalla stretta monetaria globale di questi mesi.

In assoluto, i livelli dei tassi sono tornati ai primi anni Duemila. Il fatto è che arrivano dopo quasi un quindicennio di tassi a zero e di denaro facile iniettato dalle banche centrali sui mercati. In media, gli aumenti si aggirano intorno al 3,5%. Tuttavia, una cosa è che, ad esempio, i tassi salgano dal 3% al 6,5%, un’altra da 0 al 3,5%. Investitori, famiglie, imprese e governi si erano illusi per lungo tempo che il denaro non avesse più un costo, che l’accesso alla liquidità sarebbe stato sempre illimitato e privo di conseguenze. E’ bastato il ritorno dell’inflazione per porre fine all’illusione.

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