I dati presentati dall’Ufficio Federale Statistico della Germania sono destinati a surriscaldare il dibattito sugli squilibri globali e le tensioni tra l’amministrazione Trump e Berlino sulla presunta manipolazione del cambio da parte di quest’ultima, ai danni della bilancia commerciale USA. Nel 2016, il surplus commerciale tedesco ha segnato il terzo record annuale di fila, arrivando a 252,9 miliardi di euro. Le imprese tedesche hanno esportato nel resto del mondo beni e servizi per complessivi 1.207,5 miliardi, mentre le importazioni sono state pari a 954,6 miliardi.

Rispetto all’anno precedente, le prime sono salite dell’1,2%, le seconde della metà, +0,6%. In tutto, il surplus delle partite correnti, comprensivo dei movimenti finanziari, è stato di 266 miliardi, segnalando come la Germania attiri anche capitali, al netto dei deflussi. Anche in questo caso si è trattato di un record, essendo il dato più alto dall’inizio delle rilevazioni nel 1991.

Se queste sono le cifre generali, andiamo nei dettagli, che si presentano ancora più interessanti. Il surplus della bilancia commerciale tedesca è stato verso il resto della UE di 75,4 miliardi, frutto di esportazioni per 707,9 miliardi e importazioni per 632,5 miliardi. (Leggi anche: Export Germania da record, ma all’Europa non serve mettere in croce la Merkel)

Eurozona vale solo il 5% del surplus tedesco

Verso le economie appartenenti all’Eurozona, l’avanzo è stato assai inferiore, ovvero pari a 12,9 miliardi, conseguenza di 441,8 miliardi di esportazioni e 428,9 miliardi di importazioni. Ne deriva che verso gli stati UE non aderenti all’Eurozona, il surplus è stato di 62,5 miliardi. Verso le economie non europee, invece, è stato di 177,5 miliardi, frutto di esportazioni per 499,6 miliardi e importazioni per 322,1 miliardi.

Giocando con le cifre, arriviamo a ottenere che appena il 30% dell’avanzo commerciale è stato maturato dalla Germania in Europa, mentre l’Eurozona rappresenta solamente poco più del 5% dell’intero surplus. Il 70% di questo viene maturato al di fuori del Vecchio Continente, a conferma di quanto l’economia tedesca sia fortemente internazionalizzata e di quanto sia, quindi, minacciosa la politica trumpiana di lotta agli squilibri globali, che danneggerebbero l’economia americana.

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I mercati più redditizi per la Germania sono fuori dall’Europa

I flussi commerciali intra-europei, ovvero la somma dell’import e dell’export della Germania con il resto della UE, rappresentano il 62% del totale per Berlino, ma solo il 30% del suo attivo. Ciò denota quanto integrata, in realtà, sia l’economia tedesca con il resto del Continente, anche se con i partner europei riuscirebbe a maturare uno scarso avanzo. Al contrario, al di fuori dell’Europa, i tedeschi intrattengono il 38% degli scambi, ma che frutta il 70% del loro surplus. Infine, l’import-export con l’Eurozona vale il 40% del totale, mentre quello con i paesi UE non euro il 22%.

Tirando le somme, troviamo che: il 70% del surplus commerciale tedesco si ha al di fuori della UE, a fronte di scambi per il 38% del totale; il 5% è maturato verso il resto dell’Eurozona, che vale il 40% delle relazioni commerciali complessive; il 22% verso le economie europee non aderenti all’euro, che rappresentano quasi un quarto del suo avanzo.

In definitiva, ad essere più appetibili per i tedeschi sarebbero i mercati extra-UE, dove il rapporto tra flussi e avanzo è pari a 4,6, nel senso che per ogni 4,6 euro di interscambio commerciale la Germania ottiene un euro di surplus. I mercati europei sono relativamente meno allettanti, perché qui servono interscambi per quasi 18 euro per ottenere un euro di avanzo. Ancora peggio va con il resto dell’Eurozona, dove la Germania riesce a maturare un euro di avanzo per ogni 67 euro di interscambi. Va meglio verso i membri UE non aderenti all’Eurozona, dove bastano flussi per 7,6 euro per generare un avanzo di un euro.

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