C’è una buona notizia arrivata nelle scorse ore dalla Cina. Evergrande ha annunciato che onorerà una scadenza da 232 milioni di yuan (circa 30,5 milioni di euro) su obbligazioni in valuta cinese per domani. Tuttavia, nessuna comunicazione è avvenuta a proposito di un altro pagamento in scadenza sempre domani, ma denominato in dollari USA e che ammonta a 83,5 milioni. Dunque, lo spettro del default resta concreto per le prossime ore e da giorni c’è chi parla nel mondo di una seconda “Lehman Brothers”.

Date le dimensioni di Evergrande, il timore appare fondato. La società ha debiti per 313 miliardi di dollari, di cui 19 miliardi relativi a obbligazioni in dollari offshore. Queste corrispondono al 9% del totale denominato in dollari sul mercato cinese. E pensate che 1 milione e 600 mila clienti hanno pagato in anticipo per una casa che deve ancora essere loro consegnata e che rischiano di non vedere mai costruita.

I proprietari non sono gli unici creditori. Ci sono anche coloro che hanno investito in prodotti di “wealth management” offerti da Evergrande e distribuiti proprio presso gli edifici in vendita. Tant’è che ad acquistarli sono stati in molti casi gli stessi che hanno comprato casa, a questo punto doppiamente beffati. E abbiamo dopodiché gli obbligazionisti, gli azionisti, le banche e i fornitori. Molti di questi sono stranieri.

Le strade per evitare il crac di Evergrande

Insomma, il caso Evergrande è gravissimo. Tuttavia, il colosso vanta anche asset per 220 miliardi di dollari, essenzialmente case in costruzione e terreni. A differenza di Lehman Brothers, quindi, non ha all’attivo titoli finanziari “impacchettati” in strumenti strutturati opachi e rivenduti sul mercato. E c’è da dire che il governo cinese non avrebbe alcuna convenienza che la crisi della società degeneri in tensioni sociali, con milioni di persone a reclamare la casa o i pagamenti indietro.

In teoria, due le strade che Pechino potrebbe percorrere per evitare il crac rovinoso e gestire la crisi di Evergrande.

La prima passerebbe per il riacquisto dei terreni per le costruzioni ceduti dai governi locali, i quali sono anche monopolisti di questi asset. Con la liquidità così liberata, la società avrebbe modo di almeno garantire la consegna degli immobili ai proprietari. La seconda strada sarebbe di imporre una dura ristrutturazione ai danni dei creditori finanziari, così da liberare liquidità con cui garantire il prosieguo dell’operatività aziendale. Nell’uno e nell’altro caso, le cose si metterebbero male per azionisti e obbligazionisti. E, però, questo resta il principale obiettivo delle autorità cinesi: imporre la disciplina di mercato in un’economia che nell’ultimo decennio è andata avanti a colpi di speculazione immobiliare insostenibile.

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