L’efficienza dei commissari colpisce ancora. Dopo non essere stata in grado di proporre una soluzione condivisa sul tetto al prezzo del gas, Bruxelles fa acqua anche sul petrolio russo. Il 5 dicembre entrerà in vigore l’embargo sulle importazioni, che era stato deciso nella primavera scorsa. Ma ad oggi non esiste alcun accordo tra i Ventisette capi di stato e di governo circa il prezzo massimo a cui la Russia potrebbe continuare a vendere petrolio ai paesi dell’Unione Europea.

La proposta delle istituzioni comunitarie sarebbe di convergere sul range 65-70 dollari al barile. La Polonia si oppone, perché pensa che sia una soglia troppo elevata.

Europa divisa su embargo

In effetti, Varsavia non ha tutti i torti. A fronte di un Brent sopra 85 dollari sui mercati internazionali, la Russia lo vende a sconto a Cina e India del 25%, cioè intorno ai 65 dollari. Di fatto, per Mosca non cambierebbe granché. I polacchi temono che Bruxelles stia solamente facendo scena, ma che nei fatti voglia continuare a fare affari con i russi per comprare il loro petrolio.

Preoccupazioni sono state espresse anche da Grecia, Malta e Cipro. I tre paesi dispongono di un’industria navale molto sviluppata e rischiano di essere colpiti dall’embargo. Esso prevede, infatti, il divieto di operazioni “ship-to-ship” in Europa per il caso in cui la Russia vendesse il petrolio sopra il tetto massimo indicato dalla UE. Non sarebbe possibile neppure assicurare e ri-assicurare i carichi.

Per “ship-to-ship” s’intende un espediente molto diffuso tra i paesi oggetto di sanzioni – vedi Iran e Venezuela – in base al quale in acque internazionali le navi del paese sotto embargo scaricano la merce su navi di paesi terzi per continuare ad esportare sotto mentite spoglie. Il prezzo del petrolio è sceso in area 85 dollari per il Brent. La contestuale risalita del cambio euro-dollaro offre sollievo parziale ai consumatori, visto che accentua il calo dei prezzi alla pompa.

Riserve di petrolio USA ai minimi dal 1983

Ma il problema continua ad esistere. Anzi, rischia di acuirsi nelle prossime settimane. Le riserve di petrolio negli USA sono crollate quest’anno di 180 milioni di barili a 822 milioni. Si tratta dei livelli minimi dal 2001. E le Riserve Strategiche Petrolifere sono scese di circa 203 milioni a 390 milioni di barili, il dato più basso dal 1983. Pensate che poco prima della pandemia, esse si attestavano ancora sui 635 milioni di barili.

Questo significa che il prezzo del petrolio sui mercati è stato in parte calmierato dall’aumento dell’offerta americana attingendo alle scorte. Tuttavia, questa operazione non può più essere portata avanti dall’amministrazione Biden. Il rischio sarebbe di compromettere la sicurezza energetica della prima economia mondiale. D’altra parte è vero che l’OPEC nei prossimi giorni potrebbe tornare ad aumentare la produzione, pur di soli 500.000 barili al giorno. Ma sarebbe un segnale negativo per il prezzo del petrolio. Farebbe rifiatare i paesi importatori dopo mesi di carovita ai massimi da decenni.

Dal canto suo, funzionari europei hanno definito “fastidioso” l’atteggiamento della Polonia sull’embargo. Lamentano l’assenza di una proposta alternativa di Varsavia. Un messaggio in codice ai polacchi per invitarli a non tirare troppo la corda. Un tetto significativamente più basso al prezzo del petrolio russo non dovrebbe essere imposto. A differenza del gas, i russi troverebbero molto più agevole spostare le consegne in Asia. L’Europa si rifornirebbe presso altri paesi, come il Golfo Persico. Ma i costi di trasporto probabilmente inciderebbero sui costi finali.

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