C’è subbuglio da diversi mesi sul mercato del credito europeo. Dopo anni di tassi negativi, la situazione è cambiata repentinamente quest’anno con il ritorno dell’inflazione. La Banca Centrale Europea (BCE) iniziò ad alzare i tassi d’interesse nel luglio scorso e lo quasi certamente anche al board di questo giovedì. Il costo del denaro nell’Eurozona, oggi al 2%, dovrebbe salire al 2,50%. E l’apice è intravisto dal mercato al 3% entro la metà dell’anno prossimo. Nel frattempo, l’Euribor a 3 mesi ha sfondato la soglia del 2% per la prima volta dal lontano gennaio 2009.

Venerdì scorso, segnava 2,005%. E pensare che all’inizio dell’anno fosse ancora a -0,57%.

L’aspetto più interessante, però, è un altro. L’IRS a 30 anni, che all’inizio del mese stava al 2%, ieri ripiegava a 1,91%. In pratica, l’Euribor a 3 mesi sovrasta il tasso trentennale. Una condizione che definire anomala è poco. Voi prestereste denaro al vostro vicino di casa per 30 anni a un tasso d’interesse inferiore a quello che fissereste per un prestito di appena 3 mesi? La risposta dovrebbe essere generalmente negativa. Eppure, sul mercato sta accadendo questo. I riflessi per il credito sono importanti.

Perché Euribor sopra IRS a 30 anni

Anzitutto, perché questa apparente anomalia? L’Euribor riflette le condizioni monetarie nel breve termine. Pertanto, risulta fortemente legato alla politica monetaria della BCE. Più questa si fa restrittiva, più i tassi salgono. L’IRS è un tasso d’interesse a medio-lungo e persino a lunghissimo termine. Più le scadenze avanzano, minore il legame con le condizioni monetarie e maggiore con le aspettative d’inflazione.

L’IRS a 30 anni, ad esempio, era salito fin sopra il 2,70% nel mese di ottobre. Di lì in poi, la retromarcia. Vi ricorda qualcosa? Se seguite i mercati obbligazionari, saprete che ciò è accaduto ai titoli di stato. In effetti, l’IRS risente dell’andamento dei Bund, i titoli del debito pubblico tedesco che fanno da riferimento per l’Area Euro.

Il Bund a 30 anni è sceso dal picco del 2,46% del 21 ottobre all’1,64% di oggi.

Il fatto che l’Euribor a 3 mesi sia salito ormai sopra l’IRS a 30 anni avrà un impatto forte sul mercato del credito. Al primo risultano agganciati i mutui a tasso variabile, al secondo i mutui a tasso fisso. Questo significa in soldoni che accendere oggi un mutuo a tasso variabile tendenzialmente costa di più di accenderne uno a tasso fisso. Di solito, avviene il contrario. Il tasso fisso garantisce una rata stabile fino alla scadenza del prestito e, pertanto, tale “assicurazione” è pagata dal mutuatario con una rata più pesante di quella fissata per un mutuo a tasso variabile.

Stretta BCE su liquidità banche

Tuttavia, siamo in una fase particolare, cioè nel cuore del rialzo dei tassi. Il costo del denaro salirà ancora per diversi mesi prima di stabilizzarsi e scendere successivamente. Nel frattempo, le aspettative d’inflazione restano ancorate al target BCE del 2% anche per il medio e lungo termine. Ciò induce il mercato a non pretendere tassi più elevati per scadenze lontane. Infine, questo trend non gratifica le banche. Esse sono solite prestare a lungo e prendere denaro in prestito a breve. Questa divergenza dei tassi innalza i loro costi in misura più che proporzionale ai ricavi. Per fortuna, la loro liquidità abbonda ancora al punto tale che possono permettersi di remunerare i conti deposito dei clienti a tassi prossimo allo zero.

La situazione, tuttavia, potrebbe cambiare con la restituzione anticipata dei prestiti T-Ltro ottenuti in pandemia. A novembre sono stati rimborsati 296 miliardi di euro e a giorni la BCE si aspetta che un valore cospicuo sia estinto prima della scadenza. La pressione di Francoforte in tal senso si è fatta forte.

Su questi prestiti le banche rischiano di fare profitti solo girandoli alla stessa BCE in forma di depositi e percependo un tasso più alto di quello passivo applicato. Venendo in parte meno questa liquidità extra, le banche sarebbero presto costrette ad alzare gli interessi a favore della clientela per non rischiare di perdere flussi di denaro. D’altra parte, però, se il “cavallo non beve” a seguito della crisi, a poco servirà detenere scorte liquide. Non ci sarebbe a chi prestarle.

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