Come da attese, la Merkez Bankasi ha tagliato i tassi d’interesse anche questa settimana, portandoli al 14%. Erano al 19% fino a settembre. L’allentamento monetario sta avvenendo con un’inflazione già salita al 21,3% a novembre e che gli analisti prevedono arrivi al 25-30%, sempre che il collasso del cambio non s’intensifichi e faccia esplodere i prezzi al consumo ancora di più. E la lira turca ha toccato nuovi minimi storici dopo il quarto taglio dei tassi consecutivo, perdendo dall’inizio dell’anno oltre il 53% e il 90% in 10 anni.

Per la prima volta, il cambio ha superato la soglia di 15 nella seduta di giovedì, ancor prima di conoscere la decisione (scontata) dell’istituto. Il giorno seguente, stava già sopra 16 e dirigendosi a 17.

Per i prossimi mesi, dovrebbe esserci una pausa sul fronte dell’allentamento monetario. Ma il danno è fatto. E il presidente Erdogan accetterà mai che i tassi restino a questi livelli, quando ha fatto capire molto chiaramente di volerli sotto il 10% quanto prima? A suo dire, alti tassi gravano sui costi delle aziende e alimentano l’inflazione. Bassi tassi incentivano gli investimenti e aumentano l’offerta di beni e servizi, riducendo l’inflazione. Una teoria contraria a quella convenzionale, che sta decimando il valore della lira turca.

Lira turca debole per rilanciare l’economia

Tuttavia, il crollo sarebbe voluto. Secondo Erdogan, un cambio molto debole sosterrebbe l’economia turca. Il suo intento sarebbe di fare della Turchia una piccola e nuova Cina per l’Occidente. Nel 2019, gli scambi commerciali con l’Unione Europea hanno ammontato a oltre 163 miliardi di euro, circa un quarto del PIL turco. Ma il saldo è stato negativo di 6 miliardi per Ankara, mentre con gli USA è stato attivo di 1 miliardo di dollari, a fronte di scambi per 21 miliardi. Nel 2011, comunque, anche con gli USA esibiva un forte passivo per 9,5 miliardi.

Questi numeri segnalano che l’economia turca sarebbe poco competitiva. E a novembre, con la lira turca a tappeto gli investitori stranieri hanno acquistato il 50% di case in più in Turchia, chiudendo 7.363 contratti. Nei primi 11 mesi dell’anno, il trend è stato positivo del 38%, a fronte del -9% per le compravendite domestiche. Queste ultime, però, hanno segnato +59% durante il mese scorso. In altre parole, i turchi corrono a comprare casa per tutelarsi dall’inflazione, mentre gli stranieri ne approfittano per comprare a basso costo e rivendere magari in futuro a prezzi ben maggiori.

Quello di Erdogan è a tutti gli effetti un esperimento economico sulla pelle di 80 milioni di persone. Già se ne avvertono gli effetti nefasti, tanto che in settimana sono scattati gli arresti per un gruppetto di persone accusate di accaparrarsi le auto a km zero per creare un monopolio di mercato. Molti beni durevoli stanno mancando per la corsa agli acquisti dei consumatori, intimoriti dell’impossibilità di acquistarli in futuro a prezzi più alti e anche nel tentativo di conservare così almeno parte del valore dei risparmi. Di questo passo, anziché rilanciare l’economia con stipendi e altri costi di produzione molto bassi, Erdogan rischia di dollarizzarla, scatenando l’iperinflazione. Scene venezuelane, che in questi anni vanno in scena anche nel vicino Libano.

[email protected]