“Farò il suo nome solo quando mi autorizzerà a farlo, sono vincolato a lui per l’altissima carica che ricopre”. Silvio Berlusconi non nasconde più che il candidato premier di Forza Italia sarà Antonio Tajani, nel caso in cui il partito arrivasse primo nella coalizione e il centro-destra vincesse le elezioni. Quando mancano 5 giorni al voto del 4 marzo, con il classico colpo di teatro di cui è stato sempre padrone assoluto nell’ultimo quarto di secolo politico in Italia, l’ex premier si gioca l’ultima carta per sbaragliare gli avversari e, dato il nome, sarà all’insegna della credibilità e del prestigio internazionali contro l’avventurismo del Movimento 5 Stelle.

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Il nome di Tajani sembra ormai certo, ma si attende l’autorizzazione alla sua designazione formale. Argomentazione credibile? Non proprio. Dovendo fare il nome del candidato premier “entro giovedì”, non si capisce cosa cambierebbe al presidente dell’Europarlamento l’essere formalmente indicato 3 o 5 giorni prima delle elezioni quale papabile futuro inquilino di Palazzo Chigi. Certo, il ruolo che ricopre è delicato. In Europa, si bada alle forme spesso più che in Italia. Non dimentichiamo, ad esempio, che l’italiano presiede gli scranni più alti di Strasburgo da quando il suo predecessore Martin Schulz si è dimesso a metà mandato per andare a fare il segretario dell’SPD, in chiave anti-Merkel alle elezioni federali in Germania.

Possibile, quindi, seguendo l’interpretazione di Berlusconi, che Tajani cerchi di minimizzare le polemiche politiche sul piano europeo nell’arco di tempo che va dall’annuncio alla data del voto. Molto più probabile, però, che l’ex premier stia rinviando al più tardi la data dell’ufficializzazione della candidatura, in modo da parare i colpi di un possibile flop. Se il nome di Tajani fosse ben accetto dalla base del centro-destra, tanto meglio; se andasse di traverso a molti elettori azzurri poco eurofili, tuttavia, questi avrebbero poco tempo per fare mente locale e reagire alla nomina dirottando il voto sulla Lega o non recandosi alle urne.

Insomma, meglio un blitz che concedere troppo tempo a un dibattito sulla persona designata da Forza Italia.

Boomerang o carta vincente?

Tuttavia, il rischio boomerang esiste e non per le elevate qualità politiche di Tajani, quanto per l’idea che Berlusconi darebbe della sua linea, una volta tornato al governo. Molti elettori, moderati e al contempo “arrabbiati” contro Bruxelles, potrebbero nutrire serie riserve su una possibile virata pro-Europa del partito, percependola come un’eccessiva concezione all’establishment europea, preferendole la svolta “sovranista” di Matteo Salvini. I sondaggi già oggi appaiono allarmanti per gli azzurri, dato che il distacco con la Lega sarebbe minimo e il Carroccio sarebbe nettamente avanti in tutto il nord e persino in Emilia-Romagna, mentre al sud chiaramente rimane in testa Forza Italia, dentro la coalizione. E il sorpasso di Salvini su Berlusconi avverrebbe proprio se la Lega riuscisse a racimolare al sud più voti delle attese, magari a metà strada tra il 5% e il 10% medio. E non che sotto Roma prevalgano grandi spiriti europeisti in una fase come questa, in cui la principale domanda politica nel Meridione è rivolta alla creazione di opportunità di lavoro.

Una carta, quella di Berlusconi, che ne rafforza l’immagine di tutore dell’ancoraggio dell’Italia all’Europa, ma che del resto cristallizza le distanze con l’alleato, rischiando di dargli involontariamente la volata all’ultimo miglio della corsa elettorale. Tajani dovrà sperare di non fare la fine di Schulz, peraltro nemico da un quindicennio di Berlusconi sul palcoscenico europeo, che si trasferiva appena un anno fa da Strasburgo a Berlino per quella che sembrava una possibile marcia vittoriosa verso le elezioni, almeno sul piano personale, mentre dopo avere rimediato per la sua SPD il peggiore risultato da oltre 80 anni ed essendosi dovuto rimangiare la parola sull’accordo con la cancelliera, ha dovuto persino lasciare la carica di segretario e rinunciare a fare il ministro degli Esteri sulla rivolta interna ai socialdemocratici.

Insomma, la carta dell’europeismo non ha portato bene nel cuore della UE. La maledizione del “kapò” per Tajani è una minaccia esistente.

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